L’offerta di Lotito salva la faccia a Di Maio, ma non Alitalia

La somma di tutti questi elementi produce un non risultato e l’elemento che attesta la fondatezza di questo ragionamento è che il governo, nello specifico Di Maio in quanto titolare dello Sviluppo economico, si appresta a varare l’ennesima proroga per la presentazione dell’offerta d’acquisto. Ancora sospesa, con Fs, chiamata a confezionare il salvataggio, che può contare su Delta e il Tesoro ma non ancora sul quarto partner che avrà in mano il 40% dell’azionariato pagando 900 milioni. Il 15 giugno è giunto e le proroghe arriveranno a cinque. Significa cinque rinvii, cinque autocertificazioni dell’incapacità della politica di creare le condizioni per mettere in fila i pezzi della catena di salvataggio. Significa, per il governo gialloverde e soprattutto per i 5 stelle che hanno il ministero competente in materia, l’incapacità di imprimere una direzione a una politica industriale che registra solo crisi, chiusure selvagge, investitori esteri non sempre affidabili. Leggere Alitalia, Ilva, Mercatone Uno, Whirpool. E l’unica risposta data a tutto questo è solo quella della minaccia, brandita in chiave elettorale ma priva di effetti di tutela per le aziende coinvolte e i lavoratori. 

Anche Alitalia diventa cartina di tornasole di un governo litigioso, chiamato a rispondere a esigenze elettorali. Perché è a queste che Di Maio lega il suo niet a un intervento di Atlantia. Significherebbe sconfessare mesi di processi mediatici in cui i Benetton sono stati messi sul banco degli imputati con la promessa che avrebbero pagato prestissimo un prezzo altissimo, cioè la revoca delle concessioni. E Atlantia è rimasta sempre lì negli ultimi mesi, nella stessa posizione ribadita oggi, cioè alla finestra. Per capire cioè se e quanto i 5 stelle andranno fino in fondo con la revoca, legando questo ragionamento a un intervento in Alitalia. 

Non si muove Atlantia, non si muovono i 5 stelle. Si muove Salvini, che è ritornato a spiegare come la pensa sull’ipotesi che sia la holding a salvare Alitalia: “A me basta che si tutelino 11mila posti di lavoro e che l’Italia abbia una compagnia di bandiera efficiente. Non ho pregiudizi nei confronti di nessun investitore”. Insomma la patata bollente è nelle mani di Di Maio e il vicepremier leghista non a caso ha lasciato il vertice economico di palazzo Chigi proprio quando si è iniziato a parlare di Alitalia. Come dire: caro Luigi tira tu le castagne fuori dal fuoco se non vuoi Atlantia. Conte è rimasto alla riunione e fonti di governo rivelano che il premier è sì rispettoso di Di Maio, ma non vuole tirare la corda ancora a lungo. Lotito o non Lotito, cioè offerta credibile o offerta-specchietto, i giochi riguardano altri. E sono giochi sempre più politici.

L’HUFFPOST

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