Libia, ultima chance

Decine e decine di famiglie sono bloccate tra due fuochi: moltissime le telefonate strazianti dalle zone di combattimento che arrivano ogni giorno al centro di emergenza di Tripoli. Soprattutto donne, che chiedono cibo, acqua oppure “qualcuno che ci venga a prendere”. Ad Ain Zara, altro fronte caldo a soli 15 km a sudest della capitale, una scuola elementare deserta è stata centrata da un raid di Haftar. Non ci sono state vittime, ma le bombe piovute dal cielo hanno terrorizzato i tanti rifugiati presenti nell’area, che nei giorni scorsi hanno trovato riparo proprio in edifici pubblici attualmente chiusi. I militari di Tripoli hanno l’ordine di limitare la potenza di fuoco, evitare vittime e distruzioni. Nel pomeriggio il generale Mohammed Al Manfur, comandante dell’Aeronautica di Tripoli, ha annunciato che le forze governative libiche hanno abbattuto un caccia delle forze di Haftar nell’area di Wadi Rabie, a sudest della capitale. “Combattiamo per la nostra terra, per tutti i libici. Per questo sino ad oggi siamo ancora rimasti sulla difensiva: anche i soldati di Haftar sono nostri compatrioti”, ha detto all’Ansa il generale Abuseid Shwashli, al comando della regione del distretto sudovest. “Quelli di Haftar hanno armi più moderne, ma non le sanno usare. Sono soprattutto reclute, meno del 20% delle loro forze ha esperienza, e combattono per lo stipendio oppure perché sono costretti”, ha sottolineato Shwashli, mentre nel suo quartier generale pezzi di artiglieria pesante vengono tirati a lucido, pronti all’uso se da Tripoli partisse l’ordine di un attacco massiccio. “Se dovesse arrivare quell’ordine, saremmo costretti a fare terra bruciata”, ha detto ancora il comandante.

Nel centro di Tripoli, per il momento, arrivano solo gli echi delle battaglie che si combattono alle sue porte. Il sole al tramonto illumina le lunghe code di auto ai distributori a caccia di benzina: l’unica vera immagine di guerra nella capitale in queste ore cruciali per il destino della città, e di tutta la Libia. La situazione è davvero drammatica. Il bilancio dei morti è salito a 120. Di questi 35 sono bambini. Ci sono poi 750 feriti, di cui 200 in gravi condizioni”. Così all’Adnkronos Foad Aodi, presidente dell’Associazione Medici Stranieri in Italia (Amsi). Il medico, che è anche consigliere dell’Ordine dei Medici di Roma, è in contatto con medici libici in vari ospedali: “Sappiamo anche di 30 donne violentate, 6 sono morte. Sono deceduti anche 6 medici e diverse ambulanze sono andate distrutte”. Gli ospedali in Libia, afferma ancora Foad Aodi, “sono al collasso. Il bilancio delle vittime, rispetto a ieri in cui si parlava di 100 morti, è aumentato così velocemente perché “molti feriti gravi non hanno ricevuto cure adeguate. Purtroppo ormai manca tutto: l’elettricità, i medici, gli infermieri, i medicinali e il sangue. I più fortunati riescono ad arrivare in un ospedale ma c’è anche chi, a causa delle ferite, non sopravvive perché nessun medico può raggiungerlo o non riesce a spostarsi”. “Bisogna fermare questo massacro. Tra l’altro vengono reclutati come soldati anche minorenni – afferma Foad Aodi – Si tratta di oltre 1.000 ragazzini negli ultimi mesi, tra i 14 e i 17 anni, non tutti libici. Ci sono anche reduci dalla Siria. Alcuni sono giovani di famiglie povere che vengono ricattate”.

Il bilancio della guerra cresce di ora in ora non solo in termine di vittime, morti e feriti. E’ salito a circa 16.000 il numero degli sfollati dall’inizio degli scontri armati a Tripoli e dintorni. Lo scrive l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari (Ocha) in un “aggiornamento flash” sulla situazione nei dintorni della capitale, precisando che oltre duemila sono le persone che hanno lasciato le proprie case solo nelle ultime 24 ore. Negli scontri – scrive l’Ocha, sono state danneggiate altre due ambulanze, portando ad otto il numero dei veicoli di soccorso danneggiati dall’inizio delle ostilità a Tripoli. La nuova guerra libica è sempre più una guerra per procura. Una procura sul campo. Un mercenario egiziano ha confermato che la Francia sta aiutando Haftar nel suo tentativo di espugnare Tripoli, con propri specialisti dispiegati sul suolo libico. L’uomo racconta di essere salito su un volo per andare a combattere insieme a 14 libici, 30 egiziani e 6 consiglieri militari francesi. Il mercenario, secondo quanto riferisce Libya Observer, avrebbe confessato che si era imbarcato su un volo in partenza da Benina, l’aeroporto di Bengasi e diretto a Jufra. “Lo stesso dove erano a bordo 14 libici, 30 egiziani e sei consiglieri militari francesi”. La segnalazione trova supporto in alcune fonti informate libiche, che hanno confermato l’effettiva presenza di “esperti militari” francesi a Garian. Segnalazioni analoghe erano state fatte lunedì dalla tv Libya Al-Ahrar. Garian è la città presa dal generale Haftar circa cento chilometri a sud di Tripoli e da dove il suo Esercito nazionale avrebbe sparato razzi di tipo Grad.

Intanto il governo italiano, con il premier Conte che ieri ha parlato di “serio e concreto rischio, di una crisi umanitaria”, si muove per vie diplomatiche. Domani arriverà a Roma il vicepremier e ministro degli Esteri qatarino Mohammed Al Thani, influente membro della famiglia reale dell’emiro Tamim Al Thani. Conte lo incontrerà nel pomeriggio insieme al titolare della Farnesina Enzo Moavero Milanesi e non è escluso che, lo stesso giorno, atterri nella capitale anche il vicepresidente del Consiglio presidenziale del governo di Tripoli, Ahmed Maitig, uno degli uomini forti del presidente Sarraj, esponente di Misurata, la città libica più potente a livello militare. ” Conte propone per l’Italia “un ruolo di facilitatore” nel processo di stabilizzazione e pacificazione nel Paese nordafricano. Un ruolo sempre più difficile da interpretare, anche perché sono in tanti, dentro e fuori la Libia, a non riconoscerlo. All’orizzonte c’è anche e soprattutto la “crisi umanitaria” che ha fatto scattare l’allarme rosso a Roma. In Libia – scriveva Gli Occhi della guerra – sono presenti circa 800 mila migranti intenzionati a raggiungere l’Europa via Italia. Secondo i dossier degli 007 italiani, consegnati secondo il Corriere della Sera dall’intelligence in queste ore al presidente del Consiglio, la prima ondata potrebbe coinvolgere qualcosa come 6mila stranieri pronti a salire su gommoni guidati da trafficanti senza scrupoli. Sono quelli rinchiusi nei centri di detenzione o in quelli per i profughi. Il pericolo è stato confermato anche dal direttore dell’Aise, Luciano Carta, nella sua audizione al Copasir. Dal report dell’intelligence, riporta il quotidiano di Via Solferino, emerge che “i trafficanti di uomini stanno cercando di organizzarsi nel reperimento di barche e gommoni”, in modo da prepararsi al trasporto dei profughi in fuga. Grande incognita risulta essere la capacità della Guardia costiera libica di tenere sotto controllo quel tratto di mare, mentre è certo che ora Tripoli non possa essere considerato porto sicuro. Gli 007 evidenziano anche “la presenza tuttora massiccia di gruppi presenti nel Paese e direttamente collegati all’Isis, determinati a sfruttare la situazione di caos, pronti a trasformare la Libia nella nuova Siria”.

Ma a Roma non guarda con particolare attenzione, nonostante quanto sostenuto da Conte, l’uomo forte della Cirenaica. Gli sponsor del Generale sono altri e si trovano al Cairo, a Riyadh, a Mosca, più ancora che a Parigi. Una conferma è venuta oggi: “Il presidente Abdel Fattah al-Sisi, nel suo incontro oggi al palazzo al-Ittihadeya con il maresciallo Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico, ha esaminato novità e sviluppi della situazione in Libia”, scrive l’agenzia ufficiale egiziana Mena citando una dichiarazione del portavoce della Presidenza, Bassam Radi, senza aggiungere altro. Secondo Sky News Arabiya, emittente basata negli Emirati arabi uniti (che appoggiano Haftar), Al Sisi ha confermato “il sostegno dell’Egitto agli sforzi della lotta contro il terrorismo e le milizie estremiste per realizzare la sicurezza e la stabilità della Libia”. L’appoggio del Cairo è anche “agli sforzi mirati a porre le basi di uno Stato civile stabile in Libia e ad avviare la ricostruzione”, si legge ancora. Lotta ai Fratelli Musulmani, migrazione economica e interessi nel settore estrattivo sono i tre fattori che uniscono il presidente egiziano e il leader della Libyan National Army.

Haftar in Libia è uno strenuo oppositore dei Fratelli Musulmani, al punto che la presenza dei rappresentati del Qatar – finanziatori di questi ultimi e del governo Sarraj – ha dato lo spunto al maresciallo per disertare l’assemblea principale della Conferenza sulla Libia organizzata dall’Italia a Palermo il 12 e il 13 novembre. Da parte sua contro l’organizzazione che mira a ricondurre l’islam al centro della vita politica e sociale della comunità musulmana. La Libyan National Army di Haftar, inoltre, ha sconfitto l’Isis a Derna e a Sirte e controlla l’est del Paese, fungendo da argine contro le infiltrazioni terroristiche nel confinante Egitto. Il Cairo ha a cuore, poi, la sorte delle centinaia di migliaia di egiziani emigrati in Libia per lavorare, che spediscono ogni anno in madrepatria miliardi di dollari in rimesse, vitali per un’economia piagata da una forte crisi economica e sociale come quella egiziana, e che con lo scoppio della guerra rischiano di dover tornare. Con la prospettiva certa che il tessuto sociale non abbia la capacità di riassorbirli.

Last but not least, c’è la questione energetica. Nell’ottica di un rilancio economico del Paese, Al Sisi mira a partecipare a una redistribuzione delle risorse libiche nel caso in cui Haftar riesca a prendere il potere.

L’HUFFPOST

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