Classe media in crisi: più piccola e povera

di CLAUDIA MARIN

Roma, 13 aprile 2019 – C’era una volta il ceto medio, quella classe composta da impiegati, insegnanti, operai specializzati, artigiani, commercianti, in parte di liberi professionisti: potevano contare su entrate sicure e crescenti, lavoro garantito, articolo 18 o, per altri versi, una sorta di semi-impunità nella tassazione, tutele sociali conquistate anno dopo anno, contratto dopo contratto, fino al traguardo della pensione di anzianità sotto i 60 anni. Riuscivano anche a mettere da parte qualche soldo, ad acquistare magari la casa. Ed erano certi che i propri figli avrebbero potuto studiare e prendere il loro posto o salire sull’ascensore per risalire qualche altro gradino nella scala dello status socio-economico. Poi, però, è arrivata la globalizzazione, che ha rimesso in discussione le granitiche consapevolezze di tanti decenni e, dopo ancora, la grande e lunghissima recessione, che ha scardinato ogni residuo punto di riferimento delle generazioni del baby boom degli anni Sessanta, azzerando, per lo più, le prospettive dei figli degli anni Ottanta e Novanta.

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