Pd, premio Donatello. La triste notte dei reduci

Alessandro Gnocchi

Mercoledì scorso è andata in onda, su Raiuno, la cerimonia di consegna dei Premi David di Donatello alle eccellenze del cinema italiano.

Lo schema è più o meno quello degli Oscar ma Hollywood resta molto lontana. La serata è stata lunga e noiosa come un congresso del Partito democratico: che Pd voglia appunto dire anche Premio David? Dogman di Matteo Garrone ha fatto incetta delle statuette più importanti assegnate dalla giuria. Il pubblico ha invece scelto A casa tutti bene, la commedia (amara) di Gabriele Muccino, campione d’incassi. Gli ascolti sono stati modesti (15% di share) ma sufficienti per vincere una serata televisiva moscia. Lo show, si fa per dire, si è trascinato per due ore e mezzo interminabili. Nel frattempo, i social si scatenavano. In assenza di vero spettacolo, sono saltati all’occhio i difetti più evidenti: il conduttore Carlo Conti che non riesce ad arginare la logorrea di Muccino; Enrico Brignano accolto con sguardo schifato della platea; Roberto Benigni applaudito a stento prima dell’intervento del conduttore che chiede la standing ovation; l’intervista agghiacciante di Conti a Dario Argento (Conti, pimpante: «Quali sono le sue paure più grandi?». Argento, rassegnato: «Me lo chiedono tutti»); la carrellata di morti illustri dopo due ore circa di trasmissione per infliggere il colpo finale agli spettatori; i dieci minuti di palco della presidente e direttrice artistica Piera Detassis, il doppio di Uma Thurman. Non è mancato il momento «migranti» con citazione di Roberto Saviano e Diego Bianchi, i soli uomini di spettacolo della sinistra assenti in una sala affollata di «Serene Dandini».

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