L’abbaglio elettorale del salario minimo: rischio boomerang per occupazione e stipendi

di MAURIZIO RICCI

In tempi di recessione, evocare aumenti salariali suona fasullo, ma, se siamo sotto elezioni, è una facile schiacciata a rete. Puntualmente, dunque, nel frullatore della propaganda è entrato anche un tema scivoloso e complesso come l’introduzione di un salario minimo legale. Ma è l’uovo di Colombo per il rilancio dell’economia o una ricetta semplicistica per l’Italia e un vaneggiamento se applicato in Europa? Vediamo.

Perché in Italia non c’è

Un minimo da pagare comunque, per legge, al lavoratore esiste nella maggior parte dei paesi europei. Non in Italia. Ma neanche in Scandinavia. Il motivo è che siamo paesi con sindacati forti. In Italia, la Costituzione prevede che la paga sia fissata da un contratto collettivo e oltre l’80 per cento dei lavoratori italiani – minimo compreso – è, in linea di principio, coperto da un contratto. Allora, dove è il problema? Nel numero di contratti. Se io e mio zio mettiamo in piedi un sindacato che firma con quattro imprenditori un contratto dove si prevede la paga di 2 euro l’ora per un neurochirurgo e lo spediamo al Cnel, quello è un contratto collettivo che fa – almeno a termini di legge – testo. Infatti, in Italia esistono oltre 800 contratti. Il risultato è che, chi lo cerca, trova il minimo che vuole. Bisognerebbe stabilire che valgono solo i contratti firmati da organizzazioni effettivamente rappresentative, ma questo presuppone che si regoli,  come voleva la Costituzione, la rappresentanza sindacale e non ci si riesce da 70 anni.

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