Cosa lascia, a fine ciclo, l’Europa dei tre presidenti

Il Consiglio europeo del 21 e 22 marzo è l’ultimo prima delle elezioni europee, rappresentando così uno snodo tra i due quinquenni euro-istituzionali: il 2014-2019 e il 2019-2024. L’ordine del giorno del Consiglio elenca alcuni temi usuali (crescita,occupazione,clima) oltre alle relazioni esterne e a un tema cruciale in vista delle elezioni: la lotta alla disinformazione per proteggerne l’integrità democratica. Qui cercherò invece di capire quale eredità ci lascia il quinquennio passato attraverso alcune valutazioni espresse da tre “presidenti”: Jean-Claude Juncker, Angela Merkel e Mario Draghi. Due sono presidenti a pieno titolo, mentre Merkel lo è per me de facto del Consiglio Europeo, de iure presieduto invece da Donald Tusk.

La euro-divaricazione tra economia e politica

Lo sfondo della mia riflessione sui tre presidenti è la divaricazione che tra il 2014 e il 2019 si è avuta tra il forte miglioramento della economia e il brutto peggioramento della politica. È vero che già nel 2014 si delineavano movimenti populisti e euro-disfattisti, ma la maggioranza parlamentare del Partito Popolare e dei Socialdemocratici era forte, mentre un personaggio come Nigel Farage appariva più folkloristico che pericoloso. Oggi ci si trova di fronte a due grandi Paesi della Ue che camminano in terre incognite. Da un lato la Brexit frastornata e dall’altro l’Italia incattivita, in entrambi i casi con popoli affascinati da un illusorio sovranismo populista. Purtroppo anche in Germania la leadership di Angela Merkel è indebolita, mentre in Francia Emmanuel Macron da rifondatore dell’Europa sembra ostaggio dei gilet gialli.

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