Lasciare le cose a metà

L’autonomia regionale differenziata è un altro dei cavalli di battaglia dell’esecutivo. Per raggiungere intese preliminari con le tre regioni interessate, sono state fatte 85 riunioni. Il governo si è reso ora conto delle resistenze sia interne, sia esterne. Queste possono essere superate solo se si dimostra che la maggiore autonomia concessa ad alcune regioni non va a danno delle altre. Ma la commissione bicamerale che deve valutare i maggiori oneri derivanti dalla differenziazione è ferma, a causa dell’assenza del governo, convocato a riferire.

Il disegno di legge sulla semplificazione e codificazione, approvato dal governo il 12 dicembre scorso, è stato «superato» da ben dieci disegni di legge di semplificazione approvati nel Consiglio dei ministri del 28 febbraio. Anche questi dieci disegni di legge contengono deleghe al governo, e debbono quindi attendere il completamento delle relative procedure.

Questa situazione di «impasse» generalizzato o di ritardo riguarda politiche che sono in cima alla lista del governo. Figurarsi quelle che non lo sono, come i patti per il Sud, che utilizzano i fondi strutturali europei, dei quali abbiamo speso solo il 2 per cento.

La causa più evidente di questa situazione è la continua contrapposizione delle due forze che siedono nel Consiglio dei ministri, veri nemici in casa, l’uno che blocca l’altro per far andare avanti il tema preferito, e che dànno l’impressione di due governi diversi alla guida del Paese. Sulle infrastrutture, ad esempio, il presidente del Consiglio dichiara che assumerà la responsabilità di sbloccare i cantieri e porterà a Palazzo Chigi gli strumenti esecutivi (Investitalia, Strategia Italia), mentre il sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti annuncia la nomina di commissari straordinari e l’ineffabile ministro dello stesso dicastero dichiara che «in Italia non esistono opere pubbliche bloccate». Invece, la Lega dà priorità all’autonomia per Lombardia e Veneto, mentre il M5S la dà a «cantieri e lavoro».

Ma vi sono anche altre cause dei ritardi. I componenti del governo sono più impegnati a dichiarare che a realizzare, confondono fare politica con il proclamare, sono alla ricerca di sempre nuovi temi popolari per farsi ascoltare e far prevalere la propria voce, allo scopo di conquistare nuovi elettori.

Ci sono, poi, l’ansia di cambiamento, che porta a metter troppa carne al fuoco; la costante difficoltà nel fissare priorità; l’inesperienza; l’assenza di dibattito e di ponderazione interni, che dovrebbero precedere la decisione. Da tutto questo discendono un certo velleitarismo, costante disattenzione per gli obiettivi e per le tappe intermedie, un continuo va e vieni delle decisioni, con il risultato di scelte lasciate a metà.

Questo governo delle opere incompiute e delle promesse non mantenute non si rende conto che così coltiva illusioni rapidamente seguite da delusioni, semina incertezza, genera sfiducia nei mercati.

CORRIERE.IT

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