Vertice migranti, Macron perde la calma con Conte: «Non funziona così». Ma nella notte diventa il mediatore

È un attimo, Conte ha appena finito di parlare. Ha appena detto che l’Italia mette una riserva su tutto il documento conclusivo del vertice. L’ultima volta l’aveva fatto Mario Monti, nel 2012, ma con altre modalità.

Ora il presidente del Consiglio non solo mette tutto in discussione, ma stravolge anche l’ordine dei lavori. Macron alza la voce, perde la pazienza, si rivolge a Conte in questo modo: «Non sai come funziona un Consiglio europeo! Ci sono delle regole, non ci si comporta in questo modo».

Per un attimo intorno al tavolo dei capi di governo e di Stato scende il gelo. La filippica del presidente francese sulle regole non è breve ed è inedita, anche per il tono. Il presidente del Consiglio non perde la pazienza, aspetta che il capo dell’Eliseo si calmi. Angela Merkel si guarda intorno smarrita. Alcuni sorridono. Giuseppe Conte replica a modo suo, richiamandosi alla professione precedente: «Io sono un avvocato e so che se un documento ha un numero di protocollo quel documento si discute e si approva tutto, non a pezzi». Insomma non arretra.

Sono i momenti più drammatici di un vertice in cui l’Italia è indubbiamente protagonista. Ha prima messo una riserva sui fondi che dovrebbero andare alla Turchia. Poi ne ha messa una seconda, parziale, sui finanziamenti per il Trust Fund per l’Africa e sui centri di permanenza nei Paesi del Maghreb: una sola parola è valsa una piccola guerra. Roma chiedeva un impegno formale, un «commitment», di tutti i Paesi europei, il presidente del Consiglio Donald Tusk è riuscito nella prima bozza ad inserire un generico auspicio: la Commissione che «invita» tutti i Paesi membri a partecipare al progetto. Altra riserva.

Alla fine, prima delle cena, è arrivata la terza mossa, il veto sull’intero documento. Insieme al ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, descritto persino più duro del presidente del Consiglio, come promesso, l’Italia ha scompaginato i lavori di tutto il Consiglio. Costretto il primo ministro inglese, Theresa May, a restare un giorno in più.

Ci sono stati anche degli attimi di ilarità, subito dopo lo scontro e il gelo con Emmanuel Macron. Conte si è appellato alla preparazione forense, il premier socialista svedese ha raffreddato l’atmosfera richiamando i suoi precedenti professionali: «Ho fatto il saldatore industriale per tanti anni prima di entrare in politica e posso dire che il presidente Macron non ha torto».

Ma come avviene in ogni trattativa dopo lo scontro le posizioni possono anche avvicinarsi. Se alle otto di sera sembra tutto per aria, alle dieci sia fonti dell’Eliseo che fonti di Palazzo Chigi dicono che Conte e Macron stanno lavorando ad un’intesa a due, che stanno cercando di allargare ad altri Paesi. Un altro colpo di scena. Dopo altre scaramucce: la Francia che propone centri chiusi e finanziati dalla Ue in Italia. L’Italia che ribatte ancora una volta di no. Anzi di più: «È falso, state attenti alle informazioni che danno i francesi».

Alla fine si fa strada l’idea di un accordo su centri su base volontaria, con personale e soldi europei, e con sanzioni economiche, o un conto complessivo da pagare, per tutti i Paesi dell’Unione, anche per coloro che non li vogliono sul proprio territorio. L’Italia dice finalmente di si, ma «solo se anche altri Paesi ci stanno, un meccanismo volontario va bene, ma a patto che ci sia almeno un gruppo di Paesi che si dichiari disponibile».

Nella notte si tratta ancora: Conte ha iniziato il suo primo Consiglio europeo con un bilaterale con Angela Merkel, lo chiude twittando una foto con il presidente Emmanuel Macron.

Dopo lo scontro che tutti per anni ricorderanno arrivano i sorrisi. Si cerca un coinvolgimento formale di Spagna, Belgio, Malta. Con la benevola supervisione della Germania. Ma gli spagnoli ci stanno se ci stanno anche gli altri. E così lo stesso per l’Italia. Si cerca, faticosamente, di costruire un compromesso.

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