L’ultima beffa: tassata anche la fortuna

È uno dei tanti casi di disturbo bipolare (se non di schizofrenia vera e propria) dello Stato.

Da una parte, infatti, scoraggia comportamenti che possono creare dipendenze patologiche. Dall’altra parte non rinuncia a incassarne proventi tramite tasse e accise e, quando occorre, non si preoccupa di aumentare le aliquote, contravvenendo dunque ai propri principi. L’impennata della tassa sulla fortuna da domani, perciò, ne è un esempio lampante.

Dal 1° ottobre infatti, come previsto dalla manovrina dello scorso aprile, nelle vincite fino a 500 euro la tassazione sale all’8%, mentre per la quota eccedente i 500 euro arriva al 12%. La stangata si applica a Gratta&Vinci, SuperEnalotto, Win for Life e videolottery. Per il gioco del Lotto, invece, la tassazione sale dal 6 all’8 per cento. Le nuove aliquote non si applicano a Lotteria Italia, scommesse, poker e casinò online, bingo e slot machine anche perché per queste ultime la vincita non può mai superare i cento euro.

L’obiettivo della manovrina era recuperare poco più di un miliardo di euro nel triennio 2017-2019 dalla tassazione del comparto dei giochi. I contribuenti già da tempo hanno potuto tastare gli effetti dell’altra stangata: l’incremento delle accise sulle sigarette che ha comportato aumenti dei prezzi già da qualche tempo e dalle bionde il tesoro si aspetta 330 milioni in più tra quest’anno e il 2019. L’alternativa era rappresentata da uno scatto parziale delle clausole di salvaguardia su Iva e accise sui carburanti già dall’anno prossimo. Con queste misure, si sono sempre giustificati il premier Gentiloni e il ministro dell’economia Padoan, si sono tenuti i conti in ordine e si sono evitati ulteriori commissariamenti da parte di Bruxelles.

Dalla tassa sulla fortuna via XX settembre stima di incassare 36 milioni negli ultimi tre mesi del 2017, che diventeranno 143 milioni annui a pieno regime, raggiungendo complessivamente i 322 milioni nel periodo 2017-2019 coperto dalla manovrina. Gli oltre 700 milioni che mancano al miliardo cui prima si accennava saranno conseguiti attraverso l’innalzamento del prelievo erariale unico (Preu per gli addetti ai lavori) sulle new slot. L’incasso previsto è di 742 milioni di euro nel triennio 2017-2019 di cui 200 già nell’anno in corso). In questo caso, il paradosso è ancora più lampante se si considera che recentemente la Conferenza Stato-Regioni ha trovato un accordo con il governo per dimezzare i punti gioco entro il 2022. Dunque, il gioco con slot e videolottery va limitato e tenuto sotto controllo, ma quei soldi, sotto sotto, non puzzano quando arrivano all’erario. L’imperatore Vespasiano, inventore della tassa sulla pipì (conciatori e filatori svuotavano i bagni pubblici per estrarre l’ammoniaca dall’urina) avrebbe sicuramente approvato.

Insomma, anche avere un colpo di fortuna con una giocata (quello in cui molti italiani sperano, visto che la crisi morde ancora) potrà costare caro perché lo Stato porterà via più di un decimo della vincita. Ad esempio, vincendo centomila euro al Superenalotto si porteranno a casa «solo» 88.020 euro. Non resta che rimpiangere il recente passato. Fino al 2004 la tassa, quando veniva pagata (si cercavano, infatti, tutti i modi per restare anonimi) comportava aliquote dell’1 e del 2% rispettivamente. La legislazione tributaria era molto più tollerante perché ogni vincita, alla fine, avrebbe comportato sicuramente un maggiore gettito Iva grazie alle spese del vincitore e Irpef se avesse effettuato qualche investimento come, ad esempio, un immobile. Elementare buon senso oggi, purtroppo, dimenticato.

IL GIORNALE

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