Brexit, Londra vuole già chiudere le porte: “A metà marzo stop ai cittadini Ue”

dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI

LONDRA. Comincia la Brexit e sono subito guai. Per tutti. Fra due settimane i cittadini dell’Unione Europea potrebbero perdere la libertà di emigrare nel Regno Unito. E, sempre fra due settimane, la Scozia potrebbe chiedere un referendum per la secessione dal Regno Unito. Se la prima notizia può essere rivendicata da Londra come una vittoria, la tanto attesa chiusura delle porte, resa possibile dal referendum sulla Ue del giugno scorso, la seconda rischia di diventare un altissimo prezzo pagato da Londra per voltare le spalle all’Europa: la disunione britannica.

In realtà, la Brexit non è ancora nemmeno cominciata, ma sono bastate le indiscrezioni sulla data in cui comincerà, trapelate ieri su alcuni media inglesi, a scatenare il panico. Fonti di governo indicano che Theresa May avrebbe scelto la data, la metà di marzo, per invocare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, cioè il via ai negoziati sul “divorzio” di Londra da Bruxelles, destinati a durare due anni. Le stesse fonti precisano che quella data sarà la scadenza della “libertà di movimento”, uno dei principi fondamentali della Ue: da quel momento nessun europeo potrà più venire a cercare lavoro in questo paese.

Cosa accadrebbe a quel punto non è chiaro. Italiani, francesi, tedeschi, polacchi, verrebbero fermati alla frontiera, appena sbarcati dall’aereo, per sapere se hanno un contratto di lavoro? Gli studenti europei potranno continuare a venire a studiare nelle università del regno? E se un italiano da lungo tempo residente in Inghilterra andrà a passare un week-end sul continente, come potrà dimostrare il suo status al ritorno, per evitare di essere fermato? Una ricetta per il caos. Comprensibilmente, in giornata un portavoce di Downing street ha smentito le voci riportate in proposito dal Daily Telegraph e da altri giornali.

Ma l’ufficio del primo ministro non ha smentito l’esistenza di piani d’emergenza per un’altra crisi: la secessione della Scozia. Da Edimburgo circolano infatti indiscrezioni che il governo autonomo scozzese guidato dalla premier Nicola Sturgeon, davanti alla minaccia di una “hard Brexit”, una Brexit dura, che porterà il Regno Unito fuori non solo dalla Ue, ma pure dal mercato comune e dall’unione doganale, convocherà un secondo referendum per l’indipendenza dalla Gran Bretagna, con lo scopo di ottenere la sospirata sovranità (come provò a fare senza successo nel referendum del 2014) e di restare nella Ue.

L’illazione ha fatto immediatamente precipitare la sterlina sui mercati valutari. Un Regno Unito che perde una delle sue quattro regioni, se non due, perché le elezioni anticipate di questo giovedì in Irlanda del Nord potrebbero riaccendere istanze secessioniste anche lì, è lo scenario temuto da sempre come conseguenza della Brexit, ma finora giudicato del tutto improbabile. Di colpo appare, se non probabile, perlomeno possibile. Non meraviglia che faccia tremare i mercati. E anche l’ex-premier conservatore John Major lancia l’allarme: “Una hard Brexit sarebbe un disastro per sanità e welfare “.

Prima che May invochi l’articolo 50 bisogna attendere il voto della camera dei Lord, che a differenza di quello dei Comuni potrebbe mettere condizioni alla Brexit, come il diritto dei 3 milioni di residenti europei di rimanere qui e un voto del parlamento sull’accordo finale con la Ue. Ma intanto la realtà delle conseguenze di questo storico divorzio, con tutti i suoi problemi, inizia a profilarsi, suscitando generali apprensioni. Non per caso oggi finisce il carnevale. La quaresima, su entrambe le sponde della Manica, si annuncia lunga e maledettamente complicata.

REP.IT

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