Perché l’Italia non ha altra scelta: non può dire no all’Unione europea

Se c’è un punto fermo sul quale ha sempre potuto contare l’Italia, esso riguarda il suo sistema di alleanze. Dal dopoguerra siamo sempre stati occidentali, europei, ancorati all’interno di un perimetro che ci ha permesso di far fronte alle nostre esigenze di protezione strategica e crescita economica. Gli Stati Uniti sono stati l’egemone garante della sicurezza italiana, l’Unione europea il sistema aperto entro il quale è avvenuta in due generazioni la nostra metamorfosi da società prevalentemente agricola a una delle più grandi economie industriali del pianeta. Non ci vuole molto per capire che tutto questo ora è in discussione. Un po’ lo è per eventi sui quali non abbiano nessun controllo, a partire dall’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, ma un po’ anche per come sta cambiando l’orientamento degli italiani: nei sondaggi le forze politiche che propongono l’uscita dall’euro rappresentano almeno il 45% dell’elettorato, e nell’Eurobarometro di Bruxelles l’Italia presenta la quota di favorevoli alla moneta unica più bassa dopo Cipro.

Per meno di un terzo degli italiani l’Unione europea ha un’immagine positiva, un livello vicino a quello del Regno Unito. Quello che un tempo era uno dei Paesi più europeisti, dopo una drammatica recessione si è trasformato nel suo contrario. Proviamo allora a immaginare per un attimo cosa sarebbe in concreto l’uscita del Paese dal quadro europeo così come lo conosciamo. Proviamo a farlo anche senza tenere conto dell’enorme debito estero pubblico e privato — almeno mille miliardi — che gli italiani a quel punto dovrebbero saldare in euro avendo una nuova moneta svalutata. Se c’è un insegnamento dalla Brexit, è che non esistono divorzi a metà. Un Paese che decide di uscire dai meccanismi europei che non vuole più, scopre all’improvviso di dover rinunciare anche a tutti gli altri. Questa Europa sarà pure piena di carenze e contraddizioni, ma è un sistema strettamente integrato: per un’Italia che uscisse dall’euro, svalutasse e di fatto minacciasse di non saldare il suo debito estero in euro, le porte dell’Unione si chiuderebbero quasi subito. Tornerebbero le barriere doganali verso i primi due mercati di sbocco: la Germania, verso la quale esportiamo per oltre 50 miliardi l’anno; e la Francia che assorbe 40 miliardi di made in Italy (con un forte surplus commerciale a nostro favore).

A quel punto l’Italia istintivamente si rivolgerebbe all’altro alleato di sempre, gli Stati Uniti. Ma è improbabile che la risposta sia nello stile di quelle di Ronald Reagan o Bill Clinton. Quella di Trump è una «America First», disinteressata al vecchio ruolo di egemone benevolo. Sul piano strategico questa amministrazione Usa è riluttante a offrire le tradizionali garanzie di sicurezza, su quello economico tende a chiudere il proprio mercato. Ci accorgeremmo presto di dover spendere almeno 14 miliardi di euro l’anno in più — secondo la visione di Trump — solo per garantire il nostro posto nella Nato. E vedremmo minacciato il nostro export verso l’America che oggi fattura 40 miliardi di euro l’anno (anche qui, con forte surplus a favore dell’Italia). In altri termini, fuori dal sistema europeo l’Italia si troverebbe privata del solo quadro strategico che oggi ha. Non sembra il momento migliore per lanciarsi in un simile salto nel buio: solo l’anno scorso sono sbarcate dalla Libia 180.000 persone (più 18% sul 2015) e improvvisamente ci troveremmo esposti senza difese né veri alleati all’instabilità del Nord Africa e del Medio Oriente. Niente di tutto questo naturalmente significa che l’Unione europea di oggi sia il migliore dei mondi possibili. Tutt’altro. L’aiuto che offre per gestire le ondate migratorie è insufficiente; le sue dinamiche politiche a volte sono incomprensibili e le regole a volte davvero «stupide», come le definì Romano Prodi a Bruxelles. Ma l’Europa resta un sistema democratico fondato sullo stato di diritto. Non c’è ragione per cui un’Italia capace di coerenza politica e efficienza amministrativa non debba far valere anche un po’ delle proprie idee. Del resto non abbiamo altra scelta: ora più che mai non possiamo non dirci europei.

CORRIERE.IT

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