Archive for Febbraio, 2023

Schlein, Renzi si prepara a conquistare tutti i delusi del nuovo Pd

martedì, Febbraio 28th, 2023

Gaetano Mineo

È presto per dire cosa accadrà nel centrosinistra dopo la conquista del Nazareno di Elly Schlein. Tre cose, tuttavia, sono certe. La prima, che l’attuale mappa che traccia le forze politiche all’interno del cosiddetto centrosinistra, a breve sarà carta straccia. La seconda, parlare «finalmente di cambiamento» nel Pd per l’arrivo della giovane neo segretaria appare una fake news. Basti pensare che Schlein, politicamente, è nata con Romano Prodi e dietro la sua vittoria c’è la vecchia guardia del partito, da Massimo D’Alema a Nicola Zingaretti, da Goffredo Bettini a Pierluigi Bersani, oltre ai capi corrente che in questi anni hanno condizionato più d’ogni altro le scelte del partito: Dario Franceschini e Andrea Orlando. Altro che «cambiamento». La terza, la vittoria della Schlein chiude in maniera definitiva la stagione del «renzismo». Ed è proprio questo che potrebbe consentire ai transfughi di Articolo 1 (Roberto Speranza è già in viaggio) di rientrare in via del Nazareno, costringendo i moderati ad andarsene per approdare magari nel Terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi.

D’altronde, tra i democratici sono ancora molti gli orfani dell’ex premier, tra i parlamentari ma anche tra gli iscritti. E così, mentre Renzi gongola dietro le quinte, il «socio» Calenda è già a lavoro, rimarcando i propri confini: «Il Terzo Polo rappresenta riformisti, liberal democratici e popolari». «Domani (oggi, ndr) partirà un cantiere aperto e inclusivo per arrivare a un partito unico. Porte aperte». Anche i renziani spalancano le porte agli ex compagni di partito. Eloquente la deputata di Italia viva, Maria Elena Boschi: «Penso che da domani nella politica italiana cambieranno molte cose. Si apre una stagione molto interessante per i riformisti». Già con la brusca virata a sinistra del Pd, intanto, arrivano i primi smottamenti. «Oggi legittimamente diventa un partito di sinistra che nulla a che fare con la nostra storia, con i nostri valori e la nostra tradizione – puntella il fondatore del Pd, Beppe Fioroni -. Per questo abbiamo dato vita ad un nuovo network dei cattolici e democratici “Piattaforma popolare – Tempi nuovi” per farla diventare la casa di tutti quei popolari e cattolici che sono stati marginalizzati e allontanati». Malumori anche nell’area Bonaccini dove da giorni si assaporava la vittoria, infranta poi nei gazebo: «Ora dipende tutto da lei (Schlein, ndr)», è il mantra di queste ore. E il sottotesto è «dipende da lei» se riuscirà a tenere il partito unito.

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Maurizio Costanzo, intelligente e potente: ognuno di noi gli deve qualcosa (ecco perché)

martedì, Febbraio 28th, 2023

di Aldo Cazzullo

Bastava una sua battuta in un romanesco sminuzzato per far aprire una persona e un mondo. Lanciò Sgarbi e Maria De Filippi, forse l’uomo e la donna più conosciuti d’Italia

Maurizio Costanzo, intelligente e potente: ognuno di noi gli deve qualcosa (ecco perché)

Come Molière, Maurizio Costanzo è morto in scena. O, se si preferisce un’espressione di Renzo Piano, è morto nel cantiere. Senza mai smettere di lavorare; che per lui significava vivere.

Ha fatto un sacco di cose, quasi tutte (anche se non tutte) molto bene. Fu il primo a invitare in televisione i capi del partito comunista. A Bontà loro chiedeva a ogni ospite: «Cosa c’è dietro l’angolo?». Giancarlo Pajetta rispose: «Un altro angolo». Il suo grande rivale Giorgio Amendola, ingelosito, volle essere intervistato pure lui.

Scrisse Una giornata particolare per Scola e Se telefonando per Mina. Lavorò a Paese Sera con Mughini e Dario Argento, firmando Maurice Costance per far credere di essere francese. Inventò un genere, la tv popolare, parlando pochissimo: bastava una sua battuta in un romanesco sminuzzato per far aprire una persona e un mondo. Si iscrisse alla P2, diresse un giornale della Rizzoli piduista, ma a differenza di altri ammise di aver sbagliato. Inventò Vittorio Sgarbi e Maria De Filippi , forse l’uomo e la donna più conosciuti d’Italia. Distrusse Pippo Baudo divenuto improvvidamente direttore di Canale 5; il vero capo di Canale 5 era lui; i rapporti di forza furono presto ristabiliti. Introdusse Giovanni Falcone al grande pubblico. La mafia tentò di ammazzarlo.

Di oltre mezzo secolo di carriera, quello fu il momento più tragico e nello stesso tempo epico. Lui era convinto di essere stato salvato da suo padre, anzi da «papà mio», come diceva in romanesco. Totò Riina sentenziò: «Questo Costanzo mi ha rotto». Cominciarono a pedinarlo, a spedirgli lettere anonime, ma non ci fece caso. Una sera, nascosto tra il pubblico, venne Matteo Messina Denaro, per studiare il teatro Parioli. La bomba esplose la sera del 14 maggio 1993. «Fu un miracolo. Il mio autista mi aveva chiesto un giorno libero, e l’avevo sostituito con un altro, che conosceva meno bene la strada. Esitò al momento di girare in via Fauro, e questo confuse il killer che doveva azionare il detonatore. Sentimmo un botto pazzesco. Tra me e Maria passò un infisso. Tornammo subito a casa. Il telefono stava squillando: era Nicola Mancino, il ministro dell’Interno. Poi arrivarono poliziotti, carabinieri… solo allora realizzai di essere un sopravvissuto. Per fortuna papà mio ci mise una mano sulla testa».

Il padre morì che Maurizio aveva ventidue anni. Il suo grande rimpianto era che non avesse potuto vedere quello che aveva fatto. «Ogni mattina al risveglio penso a papà mio. È come un angelo protettore. Spero tanto di rivedere lui e la mamma». Quindi crede nell’Aldilà? «Ci spero. Credo un po’ anche alla reincarnazione: da secoli siamo sempre gli stessi. Io ad esempio penso di essere stato un monsignore. Ma mi sarebbe piaciuto vivere a Betlemme, e veder arrivare i Re Magi».

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Costanzo, sospesi i programmi di Maria De Filippi: ecco quando tornano

martedì, Febbraio 28th, 2023

Un’altra momentanea sospensione per i programmi di Maria De Filippi in rispetto del dolore per la morte di suo marito, Maurizio Costanzo Francesca Galici

Costanzo, sospesi i programmi di Maria De Filippi: ecco quando tornano

La morte di Maurizio Costanzo ha inevitabilmente avuto forti ripercussioni sui palinsesti Mediaset. Per quanto, negli ultimi mesi, il giornalista non fosse in onda con il Maurizio Costanzo Show, per il quale si ipotizzava un ritorno la prossima primavera, sua moglie, Maria De Filippi, è una presenza giornaliera. La conduttrice presidia parte del pomeriggio Mediaset, prima con Uomini e donne e poi con la scuola di Amici. Venerdì l’azienda aveva deciso per la sospensione esclusivamente del people show mentre oggi, a seguito dei funerali che sono stati seguiti in diretta da Verissimo e dal Tg5, sono stati sostituiti entrambi.

Le lacrime della moglie, la storica sigla, gli amici: l’ultimo addio a Maurizio Costanzo

Nel rispetto del dolore della moglie di Maurizio Costanzo, domani non andranno in onda né Uomini e Donne e nemmeno Amici. I due programmi saranno sostituiti dalla replica della seconda puntata e la terza puntata di Buongiorno Mamma, la fiction di Canale5 in onda il venerdì sera. Non si hanno notizie di interruzioni più lunghe per i programmi condotti dalla De Filippi ma è possibile che l’azienda valuti di volta in volta, di concerto con lei, quando ritiene sia più giusto tornare in onda con la programmazione regolare. Uomini e donne va in onda in registrata: esistono alcune puntate già pronte del programma ma in questo momento sarebbe poco delicato trasmettere un certo tipo di contenuti, che vedono Maria De Filippi padrona di casa, registrati prima che il marito ci lasciasse.

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La premier e quelle due strade inconciliabili

martedì, Febbraio 28th, 2023

Montesquieu

Come la gazzella del famoso proverbio africano, ogni mattina in cui si sveglia Giorgia Meloni sa che dovrà fare un passettino, silenzioso e non troppo percettibile, verso una buona convivenza con i tradizionali partner europei, Paesi fondatori; un altro per il rafforzamento delle classiche alleanze del nostro Paese; un altro ancora nello spirito e nei principi della nostra Costituzione. Ma sa altresì che al contempo dovrà rassicurare ogni giorno la sua trincea di provenienza, che quei piccoli passi nulla cambiano della natura del partito, né dell’impianto elettorale che ha portato una destra radicale, estremista ed euroscettica al traguardo impossibile non solo del governo, ma della sua guida. E assicurare che quei piccoli passi non intaccano un armamentario ideologico e gestuale difficilmente compatibile con lo spirito della nostra Carta costituzionale. Tutto questo senza contare le divisioni che lacererebbero qualsiasi coalizione che non avesse il potere come unico obiettivo.

Una missione che definire impossibile è riduttivo, forse addirittura umoristico. Complicata ulteriormente dalla situazione confusa in cui versa l’elettorato, che la condizione precaria del nostro Paese spinge vorticosamente verso un’astensione indistinta e non facilmente interpretabile. Un’astensione che se non venisse prosciugata, condannerebbe qualsiasi governo a essere minoranza reale nel Paese, se non ancora giuridica. Una missione che fino ad ora la nostra presidente del Consiglio sta compiendo sul filo dell’equilibrio e con molta abilità, resistendo alle pulsioni che la vogliono buttare fuori strada, verso una rottura con il proprio elettorato tradizionale o con le alleanze che ci possono portare in salvo. Ad ogni passo deciso che fa seguendo pedissequamente i sassolini disseminati dal predecessore, e sempre dentro gli argini della carreggiata sogguardati con la consueta, magistrale, riservata terzietà dal capo dello Stato, ne segue per compensazione uno in direzione della conferma dei totem di una destra antistorica e anticostituzionale.

Una destra di cui Giorgia Meloni pensa, chissà se per il momento o per sempre, di non potere fare a meno. Con la differenza che, mentre gli ammiccamenti verso le derive della nostalgia sono appesantimenti del cammino virtuoso intrapreso, i passi di quest’ultimo sono assicurazioni sulla vita del governo e della stessa nostra collettività. Per capirsi: la difesa pubblica di svarioni istituzionali del tipo di quelli della coppia dei giovani e promettenti condomini Delmastro e Donzelli, contrasta gravemente l’imprescindibile processo di formazione di una dirigenza all’altezza del ruolo e del tempo. In questa direzione, sarebbe fondamentale, se accettato e proposto, il supporto della saggezza e lucidità di Gianfranco Fini, artefice dell’unico progetto concreto di una destra all’altezza del tempo e di una democrazia matura visto in questo Paese. Ancora: la decisione di portare al vertice del Senato una personalità eminente ma politicamente e provocatoriamente estrema dello schieramento vincente, rende impraticabile al capo dello Stato qualsiasi impegno che postuli la sua supplenza.

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Emergenza migranti, lo stallo dell’Europa

martedì, Febbraio 28th, 2023

MARCO BRESOLIN

INVIATO A BRUXELLES. «Sì, è il momento di fare qualcosa. Ma noi lo stiamo facendo e non da oggi…». La replica che arriva da una portavoce della Commissione europea alle critiche piovute dall’Italia dopo l’ennesima strage di migranti è netta. L’esecutivo Ue non ci sta a fare da parafulmine sul fallimento delle politiche migratorie. E ricorda due elementi non di poco conto. Il primo è che «l’Italia è il principale beneficiario del fondo Asilo e immigrazione (Amif, ndr)». Il secondo è che «c’è un obbligo giuridico di salvare vite in mare» e che «il compito di coordinare le azioni di ricerca e salvataggio spetta agli Stati membri, non a Frontex».

La Commissione europea sa benissimo quanto sia politicamente sensibile questo tema in Italia e vuole evitare a tutti i costi di infiammare lo scontro con il governo guidato da Giorgia Meloni. Ma al tempo stesso ci tiene a rivendicare quanto fatto finora. E, di conseguenza, a scaricare nel campo delle competenze degli Stati ciò che ancora resta da fare. «La risposta a lungo termine è la riforma del Patto», prosegue la portavoce, lasciando intendere che spetta ai governi mettersi d’accordo sulle nuove regole, cosa che ancora non è avvenuta. Nel frattempo, «servono azioni operative» e l’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen è convinto di avere la coscienza apposto: per andare incontro alle esigenze dell’Italia «è stato allestito un meccanismo di ridistribuzione dei migranti su base volontaria, noi abbiamo offerto un supporto operativo». E se a oggi sono stati trasferiti soltanto 255 richiedenti asilo (sugli ottomila previsti), la colpa non andrebbe ricercata a Bruxelles, ma nelle capitali che procedono a rilento.

Dal Palazzo Berlaymont sottolineano inoltre che, per aiutare l’Italia, sono state messe in campo le agenzie Ue («Frontex è attiva con 280 persone»), è stato riattivato il gruppo di contatto sulle attività di ricerca e salvataggio ed è stato predisposto un piano ad hoc «per la rotta del Mediterraneo Centrale con 20 azioni concrete». Ieri la premier Meloni ha detto di aver scritto ai vertici Ue chiedendo di attuarle «immediatamente» e insistendo sul fatto che «bisogna fermare le partenze». Bisogna agire in Africa, ma non solo. Il Consiglio europeo di febbraio aveva chiesto alla Commissione di predisporre un piano d’azione analogo anche per la rotta del Mediterraneo orientale, quella che riguarda direttamente la tragedia di domenica. Ma fonti Ue spiegano che è difficile aspettarsi una proposta già entro il vertice di marzo. È una rotta molto battuta, con le navi che partono in direzione di Cipro, Grecia e Italia. Per frenare le partenze bisogna affrontare la questione con la Turchia. E oggi è il momento peggiore per farlo.

La Commissione precisa che l’accordo siglato nel 2016 resta valido e «la Turchia deve rispettarlo». Ma il terremoto che ha devastato il Paese rende oggettivamente difficile chiedere a Erdogan uno sforzo supplementare per controllare i propri porti. Non solo: a maggio sono in programma le elezioni e il rischio è di dover rinviare tutto alla fase post-voto. Per questo, all’interno della Commissione c’è chi ritiene irrealizzabile la predisposizione di un piano per la rotta del Mediterraneo orientale in tempo per il prossimo Consiglio europeo. Ma il pressing politico è forte. Tra l’altro la questione si intreccia con i flussi lungo la rotta balcanica e le discussioni sulla possibilità di finanziare con i fondi Ue la barriera che la Bulgaria intende costruire proprio al confine con la Turchia.

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Rosy Bindi: “Per la segretaria sarà molto difficile cambiare tenendo unito il partito”

martedì, Febbraio 28th, 2023

Francesca Schianchi

ROMA. «Sarò un’osservatrice attenta ed esigente. Ma anche fiduciosa». Rosy Bindi è stata tra le fondatrici del Partito democratico; per quattro anni ne è stata anche presidente. Oggi non ha più la tessera, e alle primarie di domenica non ha votato: «Non mi convinceva nessuno dei due sfidanti». All’indomani della vittoria di Elly Schlein, però, guarda con interesse al futuro di quell’area politica e alle prime mosse della nuova segretaria: «Non è una sfida semplice mantenere fede alla promessa di cambiamento e tenere unito il partito».

Elly Schlein ha definito la sua vittoria «una piccola, grande rivoluzione». La vede così?
«Sicuramente questo voto chiude la fase del renzismo. Ma lascia ancora un residuo, non marginale».

Quale?
«Resta la voglia di affidare a una leadership nuova tutto il cambiamento, l’idea diffusa “adesso arriva lei e fa la sinistra”».

Non è così?
«Il punto è: cosa vuol dire cambiamento? Un cambio dei dirigenti? Dell’organizzazione? O della visione? A me interessa quest’ultimo punto».

Lo vede un cambio di visione?
«L’ho sentita parlare di punti programmatici: vanno bene, per carità, mi piace quello che ha detto. Va bene parlare di salario minimo, ma se sei all’opposizione non dipende da te farlo. Quando sei all’opposizione quello che conta è la visione, riuscire a convincere le persone che sarai capace di dare risposte alle grandi sfide del momento. E nelle sue parole non ho riconosciuto questo progetto. Oggi (ieri, ndr.), per esempio, mi sarebbe piaciuto che come primo atto fosse andata a Crotone. Un gesto simbolico che vuol dire: sull’immigrazione, che non è un’emergenza ma un fenomeno strutturale, si costruisce una nuova sinistra. E domenica notte non l’ho sentita parlare della guerra».

Cosa avrebbe voluto sentire?
«Intanto, se non avesse votato la delega di un anno al governo per mandare armi all’Ucraina mi avrebbe convinta di più. Siamo di fronte a un nuovo ordine mondiale: su questo, la sinistra non può permettersi di stare in silenzio. E lei nel suo discorso della vittoria non ha detto una parola».

Insomma, mi sembra scettica su questa nuova leader…
«No, ma sarò un’attenta osservatrice di quello che farà. Non vorrei finisse come i precedenti affidamenti di fiducia a un singolo leader: stavolta vorrei vedere ricostruire una comunità politica intorno a una visione».

Ci sono due prime volte in questa elezione: la prima donna segretaria del Pd…
«E questa è un’ottima notizia».

E la prima volta che viene eletta segretaria una candidata che era arrivata seconda nel voto tra gli iscritti. Che segnale è?
«Penso che significhi tre cose. La prima: che occorre interrogarsi sullo strumento delle primarie. Non per abolirlo, ma per farlo diventare qualcosa di più costruttivo: secondo me, dovrebbe poter votare solo chi partecipa al dibattito del processo costituente».

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Schlein-Meloni, parte la sfida: rivali simmetriche tra astuzia, pragmatismo e fair play

martedì, Febbraio 28th, 2023

Flavia Perina

Tra le molte risposte possibili alla domanda «ma come ha fatto a vincere Elly Schlein?» la più convincente non è fatta di parole ma di immagini. Immaginate un duello televisivo tra il capo del governo e il leader dell’opposizione. Chi risulterebbe più efficace contro Giorgia Meloni? Un governatore di lungo corso, uomo, di mezza età, oppure una parlamentare emergente, giovane, donna, dalla battuta pronta? Magari il popolo del Pd non si è posto la questione esattamente in questi termini, ma è ovvio che a pesare sul risultato dei gazebo, così inaspettato, così inedito nella vicenda delle primarie democratiche, sono stati anche i ragionamenti sulla competizione che attende la nuova segreteria. E Schlein sembra disegnata apposta per cimentarsi nel duello immaginario con Meloni: è simmetrica a lei per età, energia, determinazione e assolutamente alternativa per riferimenti culturali, contenuti politici, elettorato di riferimento. Sarebbe – sarà, quando arriverà il momento – un notevole duello.

Combattuto su terreni inaspettati, e forse meno facili per la destra di quel che alcuni immaginano.

La rappresentazione di Schlein come ancella del dirittismo Ztl, o addirittura agente dell’ideologia woke, è stata finora lo zoccolo duro della critica alla neo-segretaria del Pd da parte del fronte conservatore. Una Ocasio-Cortez italiana, come dicevano ieri tanti commenti (ignari della divergenza biografica tra una portoricana nata nel Bronx e un’italo-svizzera nata a Lugano). Una «cyborg del correttismo». «Benedetta da Soros». Ultras di «ambientalismo ideologico, immigrazionismo, politicamente corretto, cancel culture e linguaggio inclusivo» (Francesco Giubilei). «Agenda arcobaleno e femminismo, assistenzialismo e odio sociale» (Carlo Fidanza). «Abortismo sfrenato, ideologia genderfluid radicale, ecologismo anti-umano, droga libera e guerra alla Libertà Educativa delle famiglie» (Pro Vita & Famiglia). E tuttavia toccherà anche a loro aggiornare la critica. Dopo il discorso della vittoria di Elly Schlein questo ritratto appare datato, descrive un tipo di conflitto assai diverso da quello che la nuova leader democratica ha esposto subito dopo aver incassato il risultato.

Il campo dove Schlein porta il duello (vedremo se sarà confermato, ma tutto fa pensare di sì) non è quello dei nuovi diritti liberal ma fa piuttosto riferimento alle vecchie promesse costituzionali usurate dall’austerity e dalla globalizzazione: scuola e sanità pubblica, precarietà, salari, lavoro, l’emergenza climatica come sfida anche sociale. Più rider e meno schwa, si potrebbe dire per sintetizzare. E lo conferma la piccola spoon river citata in conclusione del discorso: Marielle Franco, attivista delle favelas brasiliane assassinata nel 2018; Alberto Brasca, vicesindaco di Firenze ma anche presidente della Federazione Pugilato, lo sport degli ultimi; Gianclaudio Pinto, capofila di OccupyPd dopo il complotto dei 101 contro Romano Prodi; Antonio Prisco, simbolo della battaglia dei riders; Antonio Megalizzi, attivista europeista e vittima della strage di Natale a Strasburgo.

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Il nostro altruismo perduto

martedì, Febbraio 28th, 2023

di Ernesto Galli della Loggia

Non è solo a causa dell’antiamericanismo diffuso, forse nemmeno a causa delle proprie posizioni politiche, che parte degli italiani è contraria all’appoggio agli ucraini

L’antiamericanismo, certo. Quell’antiamericanismo magistralmente descritto da Antonio Polito qualche giorno fa proprio sul Corriere quale nucleo politico forte della contrarietà di una parte vasta di italiani a un appoggio militare del nostro Paese alla resistenza dell’Ucraina contro la Russia. Un antiamericanismo carico di motivi di ogni genere: da quelli più esplicitamente politici a quelli non meno forti, espressione di una disposizione psicologica e culturale che puntualmente ritorna a farsi sentire. Espressione, tra l’altro, di un patetico complesso d’inferiorità che si camuffa nel suo contrario: per cui ci sentiamo tenuti a ribadire, ad ogni occasione, qualche nostra presunta superiore diversità nei confronti degli americani, quasi che però nel nostro intimo non fossimo per nulla sicuri della sua effettiva esistenza. A me pare, per l’appunto, che i motivi più veri della contrarietà a schierarsi con l’Ucraina di tanta parte dell’opinione pubblica italiana molto più che con la politica in senso proprio abbiano a che fare con questo genere di cose. Con stati d’animo radicati nell’inconscio del Paese, con una mutata sensibilità etica. Ciò che infatti più mi colpisce negli italiani che negano il loro appoggio alla causa ucraina è — posso dirlo? — una cosa che non saprei che definire in un modo: indifferenza morale.

Ma come? Non gli dice nulla la figura di Putin?Non significa nulla che si tratti di un signore il quale negli anni ha già aggredito due o tre Paesi, ha condotto un po’ dappertutto feroci guerre di sterminio radendo al suolo intere città, e non perde occasione per sbandierare le sue ambizioni imperialistiche? E davvero per questi nostri concittadini è del tutto indifferente, è una cosuccia da niente, che ad ogni momento egli vomiti disprezzo sul nostro modo di vivere, su tutto quello che siamo, sulla nostra libertà? E davvero per loro conta poco o nulla, ai fini del giudizio da dare sulla guerra in corso, il fatto che uno dei contendenti, cioè il sullodato Putin, sia un organizzatore compulsivo di assassinii politici, un abituale avvelenatore di avversari, uno incline a spedire in galera (come minimo) chiunque osi opporsi alle sue decisioni? Come si spiega, mi chiedo, una simile gelida impassibilità di fronte a realtà così evidenti? Come si spiega dopo tutto quello che è accaduto in Europa nel ’900 questa indifferenza ai crimini di guerra più atroci, premeditati, ripetuti, documentati, commessi dalle truppe russe in Ucraina? Non è a dir poco sorprendente che oggi qui in questo Paese ci siano tanti pronti ad andare in brodo di giuggiole per l’esibizione sanremese di Benigni in lode dei valori della Costituzione ma per i quali rapire e deportare migliaia di bambini ucraini, come hanno fatto i russi nelle zone occupate, non voglia dire sostanzialmente nulla per decidere da quale parte stare?

O forse dobbiamo pensare davvero che nel giudizio di una parte di nostri concittadini sulla guerra in corso abbia un peso maggiore di quello che si deve dare a una battuta l’epiteto di «comico ebreo» che, a proposito di Zelensky, abbiamo più volte ascoltato in questi mesi? È vero, gli ebrei hanno un’antica tradizione di versatilità nell’umorismo e nell’arte della recitazione. Sospetto però che quelle parole volessero dire qualche altra cosa: c’entra forse anche questa nella diffusa antipatia per la causa ucraina?

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Il nuovo Pd di Elly Schlein: con l’Ucraina, ma da «pacifista» e basta inseguire il centro

martedì, Febbraio 28th, 2023

di Roberto Gressi

Di qui alle Europee si apre una fase di dodici mesi con tante incognite. Lo stop ai «cacicchi» e l’asse con il M5S (punta però a vampirizzarli)

Il nuovo Pd di Elly Schlein: con l’Ucraina, ma da «pacifista» e basta inseguire il centro

«Giusto sostenere l’Ucraina, ma da pacifista dico che la Ue è mancata nella diplomazia, non aspetto fino all’ultimo fucile». «Con i Cinque stelle spero si potrà lavorare insieme, lo penso oggi, lo pensavo ieri, lo penserò domani». «La colpa è di chi per anni ha inseguito il centro, perdendo la sinistra e un intero blocco sociale». «Basta con l’usato sicuro, i cacicchi e i capi bastone, basta con le donne che vanno bene solo per fare le vice».

I risultati definitivi delle primarie Pd, regione per regione

Non c’è bisogno della palla di vetro per capire che Pd sarà quello a trazione Elly Schlein, bastano le sue frasi. Che facciano di lei una rivoluzionaria veggente o una velleitaria movimentista è presto per dirlo. Di certo c’è una domanda inevasa che riguarda il Pd delle origini.

L’obiettivo era quello di costruire una forza di sinistra capace di non essere minoranza, ma di aggregare intorno a sé, con una vocazione maggioritaria, forze sufficienti a governare il Paese. Fuori da questo le alternative erano ancora due: condannarsi a una deriva ideologica e minoritaria, oppure, alla fine, consegnarsi a qualsiasi alleanza, magari con Francesco Cossiga, o con Clemente Mastella, o addirittura con Romano Misserville, come la storia quasi recente ricorda.

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I risultati delle primarie regione per regione

Il primo punto è l’unità del partito che eredita. L’abito fa il monaco, ed è possibile che conceda agli sconfitti il contentino della presidenza del partito: voti delle primarie alla mano, lei ha vinto ma gli altri sono quasi la metà. Dai primi segnali però non viene nulla di più. Se Bonaccini, in caso di vittoria, le aveva offerto il posto di vice, Elly si è guardata bene dal ricambiare. Non sembrano preoccuparla, al momento, le fibrillazione dei riformisti e dei cattolici, che, pronti via, hanno visto l’addio al Pd di Giuseppe Fioroni. Quello che pare di capire è che rassicurare non sia tra le sue priorità. E infatti nell’area riformista prevale il calma e gesso, che se proprio andar via si deve, bisognerà farlo senza fretta e tutti insieme, secondo la vulgata che qualcuno attribuisce all’ex ministro Lorenzo Guerini. Ma anche l’assalto del Terzo polo non sembra impensierirla, convinta come pare che si tratta di Palazzo e non di popolo e che eventuali fughe parlamentari interessino più le manovre corsare di Matteo Renzi piuttosto che il progetto politico di Carlo Calenda.

L’altra branca riguarda il rapporto con i Cinque stelle, che solo all’apparenza hanno qualcosa da festeggiare. Lo rivelano gli auguri spigolosi di Giuseppe Conte, preoccupato dalla competizione. Non c’è dubbio che Schlein guardi da quella parte per future alleanze, ma per ora punta soprattutto a vampirizzare i grillini, visto che le elezioni sono lontane. Ma rischia l’inciampo, nell’inseguirli nell’ambiguità sul sostegno all’Ucraina.

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Gli scafisti del naufragio di Cutro hanno provato a scappare: «Così i superstiti li hanno bloccati»

martedì, Febbraio 28th, 2023

di Giusi Fasano

L’inchiesta: tre persone in carcere per omicidio e naufragio colposo, indagato un quarto uomo. I racconti di chi è sopravvissuto alla strage di migranti vicino a Crotone e le indagini delle autorità italiane

Gli scafisti del naufragio di Cutro hanno provato a scappare: «Così i superstiti li hanno bloccati»

DALLA NOSTRA INVIATA
CROTONE — «Siamo partiti il 23 da Izmir, in Turchia. Quei tizi li chiamavamo “i capitani”. Quando ci hanno detto che era arrivato il momento di partire siamo andati verso la barca, che si chiamava Summer Love. Ci hanno messo nella stiva, a ciascuno di noi hanno dato un ticket con un numero stampato e per tutto il viaggio ci hanno dato soltanto acqua. Le condizioni del mare erano pessime. Loro si alternavano al timone. Secondo i loro piani saremmo dovuti arrivare di domenica perché di domenica, dicevano, lungo le coste ci sono meno controlli. A un certo punto la barca ha avuto un problema al motore ma uno dei capitani si è dato da fare e lo ha riparato».

Ci sono queste e mille altre informazioni nei racconti dei sopravvissuti del naufragio di Cutro. Ci sono le storie drammatiche di ciascuno di loro e ci sono quei minuti passati ad annaspare nelle onde gelide davanti alla foce del fiume Tacina, a sud ovest di Crotone. Un tempo sospeso fra la vita e la morte, che adesso è descritto anche nel lungo provvedimento di fermo per i tre presunti scafisti da ieri in carcere. Un quarto uomo è soltanto indagato. Per tutti gli stessi reati: omicidio e naufragio colposi e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Il fermo, dicevamo. Una quarantina di pagine piene di «indizi gravi e concordanti» sulle responsabilità di un turco cinquantenne e due pachistani, un venticinquenne e un ragazzo che dice di avere 17 anni. Sul loro conto le testimonianze dei naufraghi coincidono e gli indizi raccolti sono sufficienti per il carcere.

Non è così invece per il quarto accusato, sul quale sono ancora in corso accertamenti. Nelle prime pagine del provvedimento si racconta di una sorta di rivolta. A naufragio avvenuto, in quei primi minuti sulla battigia, i migranti che avevano ancora la forza di stare in piedi, dopo la lotta impari con il mare grosso, hanno cercato di aggredire gli scafisti. Uno in particolare, il cinquantenne. Che è riuscito a scappare e nascondersi dietro un cespuglio poco prima che sul posto arrivassero i carabinieri. Sono stati gli stessi migranti a indicarlo e farlo catturare mentre gli altri due si mescolavano ai superstiti.

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