Archive for the ‘Sanità’ Category

Case di riposo, in Lombardia l’anziano o paga o si arrangia

mercoledì, Marzo 1st, 2023

di Domenico Affinito, Milena Gabanelli e Simona Ravizza

È sempre doloroso portare un proprio familiare anziano in una casa di riposo, ma quando non è proprio più possibile gestirlo a casa diventa purtroppo una scelta obbligata. In questi casi vorremmo non trovarci di fronte a liste di attesa troppo lunghe, essere certi di portarli in un posto dove siano ben assistiti e pagare una retta che non ci tolga il sonno la notte. Vediamo come funziona in Lombardia che, con quasi 1,2 milioni di over 75, è la Regione con più anziani d’Italia. E grazie alla crescita dell’aspettativa di vita diventeranno 1,3 milioni già nel 2030. Inoltre, bisogna fare i conti con il potere d’acquisto degli stipendi, sempre più basso. Per comprendere il meccanismo ci aiuta Antonio Sebastiano, alla guida dell’Osservatorio sulle Rsa della Liuc.

Come funziona

In Lombardia le case di riposo sono di due tipi: quelle «a contratto», dove la Regione paga quasi metà della retta, e quelle solo «accreditate», dove paga tutto l’ospite. I requisiti sono praticamente gli stessi (non consideriamo le Rsa semplicemente autorizzate perché hanno standard differenti e non è corretto metterle sullo stesso piano): 901 minuti minimo di assistenza settimanale per ospite, presenza delle medesime figure professionali (infermieri, medici, fisioterapisti e personale educativo). Sono identiche le regole in materia di tenuta della documentazione sociosanitaria, tra cui la stesura del piano assistenziale individuale (Pai) e la sua rivalutazione periodica.

La differenza tra Rsa «a contratto» e «accreditate» viene introdotta a partire dal primo gennaio 2011 (Dgr 937 del dicembre 2010) per ampliare l’offerta di posti senza fare aumentare la spesa pubblica della Regione. Va detto che per quel che riguarda il numero di letti la Lombardia è messa meglio rispetto al resto d’Italia, ma in ogni caso non bastano. Dunque il ragionamento è: io Regione ti do la possibilità di andare un po’ a mie spese in determinate Rsa, dopodiché siccome il mio budget è limitato, e di conseguenza i posti che io posso mettere a contratto, ti metto a disposizione altri letti che però ti devi pagare completamente. Un sistema che scarica tutti i problemi sulle famiglie. Ecco perché.

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Piemonte, medici in fuga dalle scuole di specialità

sabato, Febbraio 25th, 2023

Alessandro Mondo

TORINO. Non va confusa la carenza di medici specialisti con quella di laureati: in Italia e in Piemonte mancano specialisti, non laureati», avvertiva pochi giorni fa Chiara Rivetti, segretario del sindacato Anaao Assomed, rettificando le lamentele della Regione. Tema del comntendere: la scarsa assegnazione dei posti per il corso di laurea in Medicina e Chirurgia.

Vero è che, in ogni caso, più posti per il corso di laurea non guasterebbero: il ministero della Ricerca e dell’Università, su sollecitazione di quello della salute, ha già dato assicurazioni al riguardo. Doppiamente vera, e persino più preoccupante, la fuga dei medici dalle borse (tecnicamente: contratti) di specializzazione. Senza considerare la disomogeneità nella scelta delle specializzazioni, per coloro che scelgono questo percorso.

La rappresentazione plastica di questo piano, sempre più inclinato, è contenuta nello studio realizzato da Anaao sull’effettiva fruizione da parte dei medici neolaureati dei 1861 contratti statali banditi in Piemonte negli ultimi due concorsi di specializzazione (2021 e 2022). Obiettivo: capire come è orientata la scelta dei futuri medici specialisti. Due voci: “contratti non assegnati”, ovvero quelli che in sede concorsuale non sono stati assegnati a nessun medico perché nessuno li ha scelti: “contratti abbandonati”, ovvero quelli assegnati a medici che l’anno successivo hanno riprovato il concorso cambiato specializzazione tramite una nuova assegnazione. In Piemonte una borsa di specialità su 5 (19% dei contratti) non viene assegnata o viene persa durante il percorso di specializzazione.

Fenomeno nazionale: quasi 6 mila, in Italia, i medici in fuga dalle scuole di specializzazione. Non c’è una sostanziale differenza percentuale tra le varie regioni italiane. Analizzando l’entità dei contratti non assegnati, ad eccezione della Regione Sicilia (3%), tutte le regioni italiane hanno una sostanziale identità percentuale di contratti non assegnati, con una forchetta tra il 7% e il 22% e con il Friuli Venezia Giulia in cui c’è quasi un contratto su tre (29%) non assegnato.

Il problema nel problema, come si premetteva, è la pressochè completa adesione a quelle scuole di specialità in cui l’attività privata e ambulatoriale rientra tra gli sbocchi lavorativi: scartate, o subito abbandonate, quelle prettamente “ospedaliere e pubbliche”. Particolare non trascurabile: le protagoniste nella lotta pandemica, prima tra tutte la Medicina d’Emergenza Urgenza, oltre che nella quotidianità.

Qualche dato: in Piemonte la Medicina d’Emergenza Urgenza registra il 57% delle borse perse, la Microbiologia il 57%, Patologia Clinica il 74%, Radioterapia l’86%. Interessante anche il dato della Rianimazione con il 33% di mancate scelte. «La carenza di organico rende il lavoro più disagiato e questo allontana i giovani medici», spiega Rivetti.

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Pazienti contro medici: è boom di cause e denunce in Tribunale, ma solo uno su cinque ottiene il risarcimento

venerdì, Febbraio 17th, 2023

Paolo Russo

Che tra medici e pazienti non ci sia più quel rapporto di fiducia che c’era una volta lo si è capito da un bel po’. La riprova viene dal fatto che nei tribunali italiani sono accatastate circa 300 mila cause contro medici e strutture sanitarie pubbliche e private, dicono i numeri presentati a Roma all’incontro su qualità e sicurezza nelle sale operatorie, organizzato dall’Acoi, la società scientifica dei chirurghi ospedalieri.
Ogni anno si contano trentacinquemila nuove azioni legali, ma solo nel 15 % dei casi viene accertata la responsabilità del medico e la liquidazione in questi casi è del 30 % rispetto alle richieste spesso stratosferiche.
Una pressione che secondo i chirurghi ospedalieri finisce per incentivare scelte di medicina difensiva – “ti dovrei operare però non lo faccio per non incappare in una causa”- mentre a complicare il tutto c’è poi l’impoverimento tecnologico delle nostre sale operatorie.
Secondo i dati dell’Ania, l’associazione delle compagnie assicuratrici, il 40 % delle richieste di rimborso non sono supportate da evidenze clinico procedurali, il 10 % è supportata da dichiarazioni artefatte o false e solo il 3 % è basata su errori procedurali del personale. I procedimenti riguardano l’attività chirurgica 38,4% dei casi, diagnosi errate nel 20,7%, errori in fase di terapia nel10,8% e le infezioni per il 6,7%. Nello specifico i reparti dove avvengono più sinistri sono ortopedia e traumatologia (20,3%), chirurgia generale (12,9%), pronto soccorso (12,6%), ostetricia e ginecologia (10,9%). Riguardo la distribuzione territoriale delle denunce i numeri dicono che vengono presentate principalmente al Sud e nelle isole (44,5%). Al Nord la percentuale scende al 32,2% mentre al Centro si ferma al 23,2%. Le aree maggiormente a rischio contenzioso sono quella chirurgica (45,1% dei casi), materno-infantile (13,8%) e medica (12,1%). Per quanto riguarda i costi per intraprendere un’azione legale, partendo da una richiesta risarcitoria media di 100 mila euro, servono 50.128 euro per una causa civile, per il penale 36.901 euro. E si tratta di dati che non lasciano indifferente la categoria dei medici: il 78,2% di loro ritiene di correre un maggiore rischio di procedimenti rispetto al passato. Il 68,9% pensa di avere 3 probabilità su 10 di subirne; il 65,4% avverte una pressione indebita nella pratica quotidiana. «Non oso pensare cosa genererà il contenzioso apertosi durante la pandemia, che ha generato un aumento esponenziale delle denunce» dichiara il presidente di Acoi,  Pierluigi Marini.
Ma a complicare la vita dei chirurghi è anche l’obsolescenza delle apparecchiature utilizzate in sala operatoria. «Per capire come questa finisca per influire sul nostro lavoro e sulla sicurezza dei pazienti -spiega ancora Marini – basti pensare alla chirurgia mininvasiva laparoscopica. È chiaro che se abbiamo telecamere di ultima generazione aumenta la definizione delle immagini e questo ci permette di operare con più precisione», spiega il professore. «Purtroppo oggi con le imprese stritolate dal cosiddetto Pay back, che le impone di rimborsare 2,2 miliardi per il ripiano dello sfondamento di un tetto di spesa sottostimato, oggi abbiamo carenza anche di cose come bisturi elettrici e suturatrici meccaniche», denuncia il professore. Lamentando poi il fatto che «il Pnrr investe circa 4 miliardi per l’ammodernamento tecnologico della sanità, ma nulla per quello delle sale operatorie».

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Sanità, medici a gettone: 100 mila turni in un anno. Tutti i rischi per i pazienti

lunedì, Gennaio 16th, 2023

di Milena Gabanelli, Simona Ravizza e Giovanni Viafora

Gli errori commessi in vent’anni di politica sanitaria, sono oggi la causa di un fenomeno che, senza contromisure immediate, rischia di paralizzare il servizio sanitario nazionale: la mancanza di specialisti e la conseguente diffusione, senza regole, dei medici a gettone. Gli ospedali per coprire i buchi di organico appaltano alle cooperative, che i medici invece li hanno perché ingaggiano neolaureati, pensionati, liberi professionisti e chi ha lasciato il servizio sanitario perché stremato e sottopagato. I gettonisti sono pagati per i turni che svolgono: di solito 12 ore la notte, nei fine settimana e nei festivi. Dataroom è in grado di quantificarne per la prima volta le dimensioni nelle principali Regioni del Nord Italia: solo nel 2022 i turni appaltati in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna superano i 100 mila. Vediamo cosa nasconde questo numero e perché è stata superata la soglia d’allarme.

Gli errori commessi in vent’anni di politica sanitaria, sono oggi la causa di un fenomeno che, senza contromisure immediate, rischia di paralizzare il servizio sanitario nazionale: la mancanza di specialisti e la conseguente diffusione, senza regole, dei medici a gettone. Gli ospedali per coprire i buchi di organico appaltano alle cooperative, che i medici invece li hanno perché ingaggiano neolaureati, pensionati, liberi professionisti e chi ha lasciato il servizio sanitario perché stremato e sottopagato. I gettonisti sono pagati per i turni che svolgono: di solito 12 ore la notte, nei fine settimana e nei festivi. Dataroom è in grado di quantificarne per la prima volta le dimensioni nelle principali Regioni del Nord Italia: solo nel 2022 i turni appaltati in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna superano i 100 mila. Vediamo cosa nasconde questo numero e perché è stata superata la soglia d’allarme.

Dal Pronto soccorso alle Terapie Intensive

In Lombardia, secondo i dati forniti dalla Regione, i turni gestiti dalle cooperative sono oltre 45 mila, così ripartiti: 14.682 in Pronto soccorso; 9.960 coinvolgono gli anestesisti da fare entrare in sala operatoria e per le Terapie intensive; 20.515 in altre specialità tra cui Pediatria, Ginecologia-Ostetricia, Cardiologia, Psichiatria, Radiologia e Ortopedia. Il Fatebenefratelli di Milano con il suo Pronto soccorso di centro città ha appaltato 703 turni; il Ps di Lecco con i presidi di Merate e Bellano 4.674; quello di Varese con i presidi di Tradate, Cittiglio, Luino e Angera 1.800 e quello della Valtellina con i presidi di Sondrio, Sondalo, Chiavenna e Morbegno 1.080. In Veneto mancano 124 medici per i Ps, 75 anestesisti, 28 ginecologi e 20 pediatri: la conseguenza si traduce (sempre secondo i dati forniti dalla Regione) in 42.061 turni appaltati di cui 15.490 in accettazione e Pronto soccorso, 9.990 per gli anestesisti delle sale operatorie e per le Terapie intensive, 3.729 in Ostetricia e Ginecologia e 2.604 in Pediatria. In Piemonte i dati del 2022 riguardano solo il Pronto soccorso e sono 14.400. Il calcolo è della Società italiana di Medicina di Emergenza- Urgenza (Simeu), perché i numeri ufficiali della Regione sulle prestazioni esternalizzate al momento sono aggiornati al 2021 ed erano i seguenti: quasi 25 mila turni di cui il 31% in accettazione e Ps, 20% in Ginecologia e un altro 20% in Pediatria, 12% in Anestesia e Rianimazione e, complessivamente, il 17% tra Medicina interna, Ortopedia e Radiodiagnostica. Nella più virtuosa Emilia-Romagna il fenomeno è meno diffuso, ma comunque presente. Secondo i numeri forniti dall’assessore alla Sanità Raffaele Donini, 225 i turni appaltati al Ps di Ferrara negli scorsi mesi, mentre sono tuttora appaltati: 8 notti al mese al punto di Primo presidio di Santa Sofia (Forlì-Cesena); 60 turni mensili che da gennaio 2023 diventeranno 76 al Pronto soccorso di Carpi e Mirandola (Modena); 36 ai punti nascita di Mirandola; e dal 9 dicembre 30 turni mensili più 10 pronte disponibilità all’Ostetricia e Ginecologia di Carpi. Sempre a Carpi e Mirandola a gennaio è partito un nuovo appalto di un anno da 3,2 milioni per Pronto soccorso e Ginecologia.

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I medici a gettone arruolati in chat senza controlli: «Guadagnano 3.600 euro in 48 ore»

sabato, Ottobre 1st, 2022

di Simona Ravizza e Giovanni Viafora

La grande fuga dagli ospedali e il business delle cooperative. Ecco le offerte e i prezzi nella giungla di Telegram. «Ci sono colleghi che si spostano con i pullman. Con 3 o 4 turni prendono più di un assunto in ospedale»

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Lo scorso marzo, in un ospedale del Bresciano, una giovane donna muore poche ore dopo aver dato alla luce il terzo figlio.
Uno dei medici che l’ha in cura, secondo un’autorevole testimonianza raccolta dal Corriere , è al lavoro da 36 ore. Al momento non si può dire se la circostanza ha giocato un ruolo diretto sul decesso; a stabilirlo dovrà essere la Procura, che sul caso ha aperto un’inchiesta (7 i sanitari indagati).

Una cosa è certa: quel medico poteva stare lì dov’era anche dopo tutto quel tempo, perché a differenza dei colleghi dipendenti dell’ospedale — e quindi vincolati al rispetto degli orari — lui era lì come gettonista. Ovvero, come uno delle migliaia di professionisti che ogni giorno entrano negli ospedali italiani, ingaggiati da cooperative esterne su affidamento delle aziende sanitarie, per coprire i sempre più numerosi buchi d’organico.

Chiamati a gettone, che vuol dire pagati per un singolo turno (di solito 12 ore), in un campo sostanzialmente senza regole. Risultato: oggi è possibile, magari spinti da necessità economiche, cumulare anche più gettoni uno di seguito all’altro. Senza che nessuno controlli. Come è successo in questo caso. Ma chi di noi si farebbe visitare da un medico in piedi da 36 ore?

Questa è solo una delle criticità emerse dalla nostra inchiesta sul fenomeno dei gettonisti. Fenomeno ormai sempre più diffuso e che sta cambiando radicalmente la fisionomia degli ospedali italiani alle prese con organici ridotti all’osso. E che rappresenta, oltre a tutto ciò che vedremo, innanzitutto un dispendio per le casse dello Stato: per un gettone si arrivano a offrire fino a 1.200 euro a turno per singolo medico, in sostanza più della metà della paga che uno specializzando prende in un mese intero.

Ma perché si è arrivati a questa situazione? Chi c’è dietro alle cooperative che fanno da intermediarie? E chi sono e come vengono scelti i medici che finiscono in ospedale? Sono le domande a cui abbiamo cercato di dare risposta per capire in definitiva, oggi, chi ci cura.

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I buchi negli organici

Si deve partire dai numeri (impressionanti) che riguardano la carenza di medici. Un fenomeno che si deve essenzialmente a tre ragioni.
Uno: il turnover in Sanità bloccato per 14 anni (dal 2005 con il governo Berlusconi 2 al 2019, con il Conte 1, che ha portato le assunzioni a un +10%).
Due: una programmazione miope, se non proprio del tutto errata, con contratti di specialità al ribasso per anni e mai tarati per sostituire chi va in pensione, tanto che dal 2015 al 2020 i pensionabili sono stati 37.800, a fronte di 24.752 specializzati pronti per entrare nel servizio sanitario.
Tre: una clamorosa accelerata delle dimissioni volontarie da parte dei medici ospedalieri, specie dopo il Covid, dovuta a un peggioramento generale delle condizioni di lavoro, con turni sempre più massacranti e un’aumentata conflittualità con i pazienti.
Nel 2021 si sono registrati 2.886 licenziamenti volontari: +39% rispetto al 2020. È un trend che, se confermato, porterà a una perdita complessiva tra pensionamenti e licenziamenti di 40 mila specialisti entro il 2024 (stima del sindacato dei medici Anaao).

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Vaiolo delle scimmie, l’Oms dichiara l’emergenza globale: “15mila casi in più di 70 paesi”. Rezza: “Massima attenzione ma non allarmismo”

domenica, Luglio 24th, 2022

Chiara Nardinocchi

Massima attenzione ma nessun allarmismo. Con queste parole il direttore il direttore generale della prevenzione del Ministero della Salute, Gianni Rezza cerca di placare gli animi dopo che l’Oms ha dichiarato il vaiolo delle scimmie (Monkeypox) “emergenza sanitaria globale”. 

Un annuncio che riporta indietro le lancette di mesi, anni. Per questo probabilmente, pochi minuti dopo l’annuncio dell’Organizzazione mondiale della sanità, il dottor Rezza non ha perso tempo affermando che “il Ministero della salute con apposita ordinanza ha già predisposto, insieme alle Regioni e Province Autonome, le modalità di segnalazione dei singoli casi. In Italia finora sono stati registrati 407 casi con tendenza alla stabilizzazione. La situazione è sotto costante monitoraggio ma non si ritiene debba destare particolari allarmismi”.

Vaiolo delle scimmie, l’Oms: “Emergenza sanitaria internazionale”

407 casi sugli oltre 15mila registrati in più di 70 paesi con un’impennata verticale registrata negli ultimi mesi. Per questo l’Oms ha ritenuto questa diffusione un “evento straordinaria” e attraverso la sua dichiarazione spinge verso una reazione globale coordinata per evitare il dilagare della malattia. Questa è la quinta volta che l’Oms si esprime in questi termini. In precedenza era successo già con la pandemia del Covis-19, l’Ebola nel 2014 nell’Africa occidentale, il virus Zika in America Latina nel 2016 e gli sforzi in per eradicare la poliomielite.

Made with Flourish

Quella presa dal direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, è una decisione molto azzardata in quanto per la prima volta nella storia dell’Organizzazione, è stata presa nonostante la mancanza di consenso fra i membri del comitato d’emergenza. 

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Covid, Covid in ripresa ovunque. Ecco perché gli Usa acquistano 100 milioni di dosi di vaccino Pfizer per la campagna d’autunno

giovedì, Giugno 30th, 2022

ROBERTO CAUDA

ROMA. Il dipartimento della Salute degli Stati Uniti, in collaborazione con il dipartimento della Difesa, ha annunciato un accordo per l’acquisto di oltre 100 milioni di dosi del vaccino anti Covid-19 Pfizer per la campagna di vaccinazione autunnale. Il contratto da 3,2 miliardi di dollari comprende sia dosi per adulti che per uso pediatrico. Analizzando i numeri che giornalmente vengono forniti circa l’andamento della pandemia in Italia, è ragionevole prevedere che assisteremo nelle prossime settimane quasi certamente ad un incremento dei casi tale da configurare una quinta ondata in estate. Infatti, il monitoraggio settimanale della pandemia indica un progressivo netto aumento dei nuovi contagi praticamente in tutte le regioni italiane, con un’incidenza che supera i 500 casi per 100.000 abitanti in diverse province. A questa crescita che non accenna a diminuire si associa, ma in misura minore, l’aumento dei ricoveri in area medica ed in terapia intensiva, mentre i decessi restano sostanzialmente invariati.

Diffusione delle varianti
La diffusione delle varianti Omicron 4 e 5, che sono più trasmissibili anche se non più gravi, contribuisce grandemente alla circolazione del virus ed al conseguente attuale aumento dei casi. Inoltre, ciò che sta accadendo in questo periodo sfata la convinzione che l’estate doveva essere considerata un porto franco, quando il virus circola di meno. Nel 2020 ha certamente influenzato il basso numero di contagi estivi, l’onda lunga del lockdown attuato da marzo a giugno e nel 2021 la percentuale crescente di soggetti recentemente vaccinati e quindi protetti nei confronti delle varianti allora in circolazione. L’incidenza di infezioni ospedaliere da SARS-CoV-2 avvenute in 12 ospedali regionali del Massachussets, tra il 21 luglio 2020 ed il 28 febbraio 2022, viene descritta in uno studio (Komplas M. e altri) da cui emerge un significativo aumento delle infezioni intra-ospedaliere da SARS-CoV-2 legato alla variante Omicron. Questo aumento può essere spiegato dall’ampia diffusione in comunità di Omicron, variante che si caratterizza per una maggiore contagiosità e che determina una elevata incidenza di infezioni negli operatori sanitari, nei visitatori ed in altri pazienti che possono quindi essere altrettante sorgenti di infezione.

Misure di controllo
Per questo motivo, nell’articolo si sottolinea che, a dispetto delle stringenti misure di controllo delle infezioni e dell’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari, il rischio di infezioni intra-ospedaliere può essere significativamente elevato quando una variante virale, come Omicron, è molto trasmissibile ed è diffusa ampiamente nel territorio. Uno studio (Caccuri F e altri) sottolinea che le mutazioni che insorgono nello spike di SARS-CoV-2 contribuiscono largamente all’adattamento virale all’uomo. Infatti, la persistenza di un virus all’interno di un organismo consente l’evoluzione del virus e ciò per SARS-CoV-2 si è probabilmente verificato in pazienti immunocompromessi che consentono la replicazione virale per un lungo tempo. Infatti, gli autori dimostrano l’esistenza di mutanti minori di SARS-CoV-2 in campioni biologici ottenuti da un paziente immunocompromesso che si sono sviluppati nel corso di una infezione persistente (222 giorni di replicazione virale). In particolare, il mutante originale è stato sostituito da una quasi specie minore che esprime due mutazioni critiche nello spike e questo determina sia una più rapida capacità replicativa del mutante rispetto all’originale, che un maggior effetto sul sistema immunitario ed in particolare sulla produzione di gamma interferone. L’importanza di questa segnalazione risiede nel fatto che la comparsa di una quasi specie virale diversa da quella originale, se ha una capacità replicativa maggiore, può soppiantare il virus originale e, quasi certamente, questo è il meccanismo che ha dato origine alle varianti che oggi conosciamo di SARS-CoV-2.

Il ruolo del microbioma intestinale

E’ noto che il microbioma intestinale, gioca un ruolo importante in diverse malattie ed in questo studio (De Maio F. e altri) è stato analizzato il microbioma intestinale di 30 pazienti ospedalizzati con polmonite da SARS-CoV-2. Dall’analisi dei risultati emerge chiaramente che l’infezione da SARS-CoV-2, induce significativi cambiamenti nella flora microbica intestinale, cambiamenti che tendono a regredire in tempi piuttosto lunghi. Inoltre, esistono molti fattori riferibili al microbioma intestinale che potrebbero influenzare il decorso della malattia COVID-19 e per questo l’auspicio è che studi analoghi con casistiche più significative vengano condotti al più presto per chiarire questo importante aspetto.
Una press release (Comunicato stampa) della Food and Drug Administration (FDA) americana ha annunciato che è stato autorizzato l’uso emergenziale dei vaccini contro COVID-19 Moderna e Pfizer per la prevenzione della malattia nei bambini al di sotto dei 6 anni di età. Questa autorizzazione si basa sulla valutazione dei dati di sicurezza ed efficacia ottenuti somministrando i vaccini a mRNA in questa fascia d’età ed in considerazione dei noti e potenziali benefici che sono maggiori dei potenziali e noti effetti collaterali.

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Venti casi in Europa, uno in Italia: torna il vaiolo (ma stavolta è la “variante delle scimmie”)

venerdì, Maggio 20th, 2022

Paolo Russo

La raccomandazione ad essere prudenti nei rapporti sessuali, il riferimento alla diffusione nella comunità gay, la trasmissione del virus partita dai primati. Il riferimento un po’ sinistro all’Aids c’è, ma il “vaiolo delle scimmie”, sbarcato ieri ufficialmente in Italia, non è nuovo e, almeno per il momento, non minaccia di diventare la nuova peste del Duemila. Il giovane proveniente dalla Canarie risultato positivo al “Monkeypox virus” è in isolamento ma in buone condizioni generali, mentre il ministero della Salute annuncia altri due casi sospetti.

La regione Lazio ha messo in moto i suoi cacciatori di virus per individuare con il massimo rispetto della privacy eventuali contatti stretti, mentre l’Oms parla di «situazione in rapida evoluzione», perché i casi sarebbero più di una ventina, concentrati soprattutto in Gran Bretagna, Spagna e Portogallo, mentre 13 ne segnala il Canada, uno gli Usa. Ma di ora in ora il numero dei casi sospetti aumenta. «I sintomi sono vari ma in genere lievi, come febbre, dolori muscolari, cefalea, rigonfiamento dei linfonodi, stanchezza. Una caratteristica sono anche le manifestazioni cutanee, come vescicole o piccole pustole, anche sugli organi sessuali», spiega Anna Palamara, direttrice del dipartimento malattie infettive dell’Iss. Che intanto ha messo in allerta su tutto il territorio nazionale le reti sentinella dei centri per le infezioni sessualmente trasmissibili. «La malattia – aggiunge – evolve in genere spontaneamente e senza bisogno di farmaci».

Niente a che vedere con il vaiolo originale, eradicato nel lontano 1980 e che aveva un tasso di mortalità del 30%. «Ma non è una passeggiata – spiega il virologo dell’Università di Milano, Fabrizio Pregliasco – perché alcuni ceppi del vaiolo delle scimmie, che in realtà ha creato dei serbatoi nei ratti, possono arrivare a provocare un decesso ogni dieci casi, soprattutto dove non ci sono adeguati livelli di assistenza sanitaria».

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Speranza: “Più medici e un miliardo alle Regioni per tagliare le liste d’attesa”

lunedì, Maggio 16th, 2022

di Michele Bocci

Ministro della Salute Roberto Speranza, in certe Regioni e per certe specialità le liste di attesa sono lunghissime. Interverrete?
“È un problema che viene da lontano ed è stato ulteriormente complicato dal Covid. Abbiamo già indirizzato un miliardo di euro, in due tranche, alle Regioni per affrontarlo e ci aspettiamo di vedere presto i risultati. La questione attese è legata al numero di medici più che alle attrezzature. Sul personale abbiamo avviato un’operazione mai vista”.
Cosa avete fatto?
“Nel nostro Paese si finanziavano in media 5 o 6 mila borse di specializzazione in medicina l’anno. Così il numero dei nuovi medici pronti a entrare nel sistema era sempre inferiore a quello di chi andava in pensione o comunque lasciava. Negli ultimi due anni abbiamo finanziato prima 13.400 borse e poi 17.400. C’era un imbuto formativo, ora non esiste più”.
Quei dottori saranno disponibili dopo i 4-5 anni di specializzazione. Le attese, anche oltre 250 giorni per una visita o un esame in certe città, come ha rivela la nostra inchiesta, ci sono ora.
“Ma i medici non si comprano sul mercato internazionale, come i camici o i respiratori. O li hai formati con una programmazione pluriennale o non li hai. Noi negli ultimi due anni abbiamo finalmente investito come si doveva. Per l’immediato il miliardo di euro in più servirà a comunque a recuperare con interventi straordinari”.
Il sistema sanitario ha abbastanza fondi a disposizione?
“Quando sono diventato ministro, nel settembre 2019, il fondo sanitario nazionale era a 114 miliardi di euro e aumentava in media di meno di un miliardo all’anno. Ora, dopo due anni e mezzo, siamo arrivati a 124 miliardi, 10 in più. Non c’era mai stato nella storia del servizio sanitario nazionale una crescita delle risorse così importante in tempi così brevi”.
Perciò quanto fatto è sufficiente?
“C’è stata una stagione troppo lunga di definanziamento della sanità e le risorse vanno aumentate ancora. Abbiamo l’impegno a portare il fondo a 128 miliardi in due anni, ma voglio lavorare per fare crescere ancora questa cifra. Poi sono per superare i tetti di spesa che hanno le Regioni, a partire da quella per il personale”.
Le Regioni chiedono più soldi per la lotta al Covid.
“Abbiamo già messo molte risorse al di fuori del fondo sanitario nazionale per la pandemia. Ne servono ancora e le troveremo. Sono stati anni difficili e avremo altre spese, ad esempio per i vaccini. Ma non è accettabile che il dibattito non tenga conto di un dato di realtà: così tanti soldi sulla sanità non sono mai stati messi”.
Si riferisce anche al Pnrr?
“Sì, si aggiungono all’incremento del fondo. Arriveranno 20 miliardi grazie al Pnrr. Poi ci sono 625 milioni che per la prima volta la programmazione europea riserva al “Pon” salute, per le aree svantaggiate. Quei soldi vanno al Sud e serviranno anche a recuperare gli screening oncologici saltati”.
I pronto soccorso sono in crisi, i medici lasciano per lo stress. Basteranno più specializzazioni?
“Senza dubbio il lavoro nell’emergenza è spesso estenuante. Noi abbiamo fatto un primo passo stanziando 90 milioni e istituendo una nuova indennità specifica per chi lavora al pronto soccorso. Sono prime risorse, cercheremo di trovarne altre ma si tratta di un segnale: diciamo ai lavoratori che siamo consapevoli delle loro difficoltà. Poi avrà un ruolo fondamentale il Pnrr”.

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Covid e il post pandemia, così Speranza: “Ecco come rivoluzioneremo la sanità”

mercoledì, Febbraio 23rd, 2022

Paolo Russo

«La pandemia ha reso evidenti almeno tre limiti della nostra sanità: il ritardo nel sapersi adeguare ai bisogni di una popolazione che invecchiando ha fatto esplodere le malattie croniche, il deficit digitale e una crescita delle diseguaglianze nell’accesso ai Lea, i livelli essenziali di assistenza, che sono su valori non adeguati al Sud. Ma ora abbiamo l’opportunità di trasformare la più dura emergenza sanitaria del dopoguerra in una grande opportunità di ammodernamento e rafforzamento della nostra sanità pubblica». Per spiegare come, il ministro Roberto Speranza si presenta con decine e decine di pagine fitte di numeri, che alla fine portano a qualcosa come 30 miliardi di risorse aggiuntive tra Pnrr, rifinanziamento del fondo sanitario e fondi Ue per la povertà sanitaria nel Mezzogiorno. Soldi che serviranno a ricucire le piaghe aperte dalla pandemia nella sanità, documentate dalla nostra inchiesta a puntate della scorsa settimana. «Anche se le difficoltà del nostro sistema sanitario nazionale non nascono con il Covid, ma da una troppo lunga stagione di tagli che lo ha preceduto», ci tiene a precisare prima di posare un attimo lo sguardo sul presente. Perché ancora ieri l’altro Salvini e Meloni hanno tentato lo strappo, cercando di far passare un emendamento che avrebbe mandato ovunque in soffitta il Green Pass a partire dal 31 marzo. «Ma il Covid non scompare premendo il tasto off come se stessimo spegnendo la luce. Nei prossimi giorni continueremo a monitorare il quadro epidemiologico, ma i dati su contagi e ricoveri sono tutti in via di miglioramento. È chiaro che ci troviamo in una fase nuova, ma serve gradualità, non possiamo far saltare in un solo momento tutte le precauzioni che ci hanno consentito di lasciare aperto mentre altri in Europa entravano in lockdown». E sullo stato di emergenza lascia capire che, salvo improvvise inversioni di rotta della pandemia, potrà essere superato alla scadenza del 31 marzo. «Valuteremo nelle prossime settimane e poi decideremo, ma è chiaro che l’obiettivo è quello di una progressiva uscita dall’emergenza». Intanto ci si muove per proteggere i più fragili. «Le autorità scientifiche e sanitarie hanno per ora ritenuto di dover avviare dal primo marzo la somministrazione della quarta dose per le persone immuno-compromesse. Per il resto della popolazione non sono ancora disponibili i dati necessari per prendere una decisione. Quando li avremo le autorità scientifiche, che sempre ci hanno guidato in queste scelte, diranno se e quando sarà eventualmente necessario estenderla anche ad altre fasce della popolazione».

«Ma, mentre continuiamo a combattere il virus, ora è il momento di alzare lo sguardo oltre l’emergenza». Ed è una sanità da sogno quella che disegna con passione Speranza. «Il filo che unisce tutti i nostri interventi ruota intorno a tre parole chiave: prossimità, innovazione e uguaglianza». La prima è vicina a essere tradotta in realtà con un nuovo provvedimento che rivoluziona la trincea della medicina del territorio, caduta ai primi assalti del Covid. «Con la cronicizzazione delle malattie c’è sempre più bisogno di una sanità di prossimità, che sia più vicina alle persone. E il cuore della nuova rete territoriale saranno le Case di comunità. Luoghi fisici dove 24 ore su 24 e sette giorni su sette équipe multiprofessionali composte da medici di famiglia, pediatri di libera scelta, specialisti, infermieri di famiglia e di comunità potranno rispondere a tutti i bisogni di assistenza che non siano quelli legati all’emergenza e alla fase acuta della malattia, compresa la possibilità di eseguire esami diagnostici di primo livello». Di quelle principali, gli hub, ne sorgeranno da qui al 2026 una ogni 40-50mila abitanti, «per un totale di 1.350 strutture, alle quali si affiancheranno le altre Case della salute spoke, quelle dove medici di famiglia e infermieri garantiranno assistenza e prenotazioni ad altri servizi tramite il Cup regionale, 12 ore al giorno e sei giorni su sette». Una rivoluzione copernicana rispetto agli studi dei medici di base aperti oggi in media 15 ore la settimana. Ma con i 7 miliardi destinati al territorio dei 20 complessivi del Pnrr «faremo anche della casa il primo luogo di cura, portando entro il 2026 l’assistenza domiciliare al 10% per gli over 65. E guardi che partiamo dal 4% che è inferiore di due punti alla media Ocse. E un effetto fondamentale l’avrà la Telemedicina, sulla quale investiamo un miliardo». A completare la rete c’è poi il tassello degli ospedali di comunità. «Ne realizzeremo 400 entro il primo semestre del 2026 e saranno fondamentali per assistere quei pazienti che non hanno più bisogno dell’ospedale ma che necessitano comunque di brevi degenze per stabilizzare la propria condizione clinica».

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