Perché rendere la gestazione per altri reato “universale”?

Il fenomeno della gestazione surrogata, ricercata e ottenuta all’estero dove sia ammessa, non riguarda evidentemente solo gli italiani. La questione si pone anche negli altri Stati europei che vietano la gestazione per altri e ha dato luogo a numerose sentenze dei giudici nazionali e della Corte europea dei diritti umani. L’orientamento prevalente riconosce al nato il diritto al rispetto della vita di famiglia che, in qualunque modo, si sia di fatto instaurata. Non, in senso inverso, il diritto dei “genitori di intenzione” a vedersi legalmente riconosciuta la qualità genitoriale, fatta salva la adozione ottenuta da chi non abbia con il nato un legame genetico. Nella giurisprudenza la procedura di adozione è l’alternativa – che si afferma di corrispondente effetto – all’automatica registrazione del certificato di nascita estero. In ogni caso, in questo o in altro modo va salvaguardato il preminente interesse del minore (statuito, tra gli altri testi, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea). E non si può più ammettere che il legislatore italiano continui a ignorare l’invito venuto dalla Corte costituzionale e a omettere una specifica disciplina che assicuri sicurezza ai nati e a coloro che hanno assunto la responsabilità di genitori. La Corte costituzionale ha negato che la verità biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore di rilevanza assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento con l’interesse concreto del minore. Ed è ormai evidente la progressiva perdita di rilievo del legame biologico rispetto al rapporto effettivo e affettivo, tipico della filiazione, quale elemento fondamentale per il riconoscimento dei legami tra genitori e figli.

Tornando alle proposte di “reato universale” e richiamandone gli effetti negativi indirettamente procurati ai bambini nati da gestazione per altri, si deve dire che si tratta di ipotesi già conosciuta dall’ordinamento penale italiano. Il Codice penale, infatti, prevede la punibilità secondo la legge italiana, per i reati più gravi, sempre che il colpevole si trovi nel territorio italiano. Per i casi meno gravi, come il reato di gestazione per altri, commessa interamente all’estero, il cittadino italiano è già ora punibile in Italia, purché vi sia la richiesta del ministro della Giustizia (art. 9 C.p.). V’è dunque necessità di una nuova legge? Se così seria è la necessità di punire i fatti commessi all’estero, perché il ministro della Giustizia non chiede che si proceda? Insomma, di ciò che ora discute il Parlamento, invece di occuparsi di dar certezza legale ai nati, emerge la natura di manifesto, di bandiera da sventolare all’ombra di una impegnativa “universalità”.

LA STAMPA

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