Intelligenza artificiale e stupidità naturale

L’altro giorno leggevo che lo stato di New York ci ha ripensato e renderà utilizzabile a scuola Chat-GPT perché, asseriscono i responsabili, non si possono privare i ragazzi degli strumenti che poi da grandi nella vita reale dovranno usare quotidianamente. In precedenza gli stessi responsabili ne avevano proibito l’utilizzo scolastico. Quando hanno sbagliato? Sei mesi fa o ieri? Non lo so, io non sono la nuova “bocca della verità” detta Chat-GPT che dà una risposta su tutto, ma intuisco che probabilmente la verità, come quasi sempre, sta nel mezzo. Vi sono materie scolastiche per le quali Chat-GPT è utile e privarsene sarebbe stupido, ma ve ne sono altre per le quali il suo utilizzo sarebbe nocivo, forse letale, perché priverebbe dell’essenza stessa della ricerca intellettuale. Qual è questa essenza?

Lessing, filosofo illuminista tedesco, nel 1778 scriveva così: «Se Dio tenesse nella sua destra tutta la verità e nella sinistra il solo eterno impulso verso la verità, e mi dicesse: Scegli!, io mi precipiterei umilmente alla sua sinistra e direi: Concedimi questa, Padre! La verità pura è soltanto per te!». Oggi al posto di Dio c’è la macchina, oggi al centro dell’altare della nostra mente c’è la tecnologia, e se le antiche tragedie conoscevano il Deus ex machina oggi noi abbiamo Deus sive Machina. Emanuele Severino riassumeva bene la situazione: «Dio è il primo tecnico, la Tecnica è l’ultimo dio». Per indicare l’essenza della ricerca io riformulo così le parole di Lessing: «Se la Macchina avrà nella sua destra tutta la conoscenza e l’efficienza, e nella sinistra il solo eterno impulso verso la ricerca e il lavoro, e mi dirà: Scegli!, io sceglierei la sinistra dicendo: Concedimi questo, Signora! La conoscenza totale e l’efficienza pura sono solo per te!».

A che serve sapere che il cervello è composto da 87 miliardi di neuroni ognuno dei quali è collegato ad altri diecimila neuroni per una somma stratosferica di connessioni detta “connettoma”, se poi non so usare in modo saggio la mente che ne promana? Socrate non sapeva nulla di neuroni, ippocampo e amigdala, eppure usava la sua mente nel modo sublime che ancora ci illumina. A che serve conoscere la struttura dell’atomo se poi uso tale conoscenza per fare la bomba atomica e i proiettili all’uranio impoverito? A che serve insomma l’intelligenza, se poi non è in grado di generare sapienza? Questo infatti è il fine della vita: essere sapienti, avere sapore. Rispetto a ciò, l’intelligenza è solo un mezzo.

Noi oggi però scambiamo il mezzo per il fine, e così ci ritroviamo in balìa delle acquisizioni scientifiche come se solo queste avessero valore in se stesse, come se il solo fatto di poter realizzare una performance cognitiva e tecnologica realizzasse l’obiettivo della vita. Potenza per avere ancora potenza, con la conoscenza scientifica asservita all’onnipotenza tecnica: è questo lo statuto contemporaneo. Ed è per questo, lo ammetto, che l’intelligenza artificiale mi fa paura. Non mi fa paura per se stessa, perché amo l’intelligenza e ricerco la conoscenza fin da quando era bambino; mi fa paura perché non è guidata da nessuna sapienza e può paradossalmente coincidere con l’imperversare della stupidità.

Ancora Bonhoeffer: «Ci accorgiamo con stupore che in determinate circostanze gli uomini vengono resi stupidi, ovvero si lasciano rendere tali». Aggiungeva che in chi vive in modo piuttosto solitario il contrassegno della stupidità è meno presente rispetto a chi vive costantemente in compagnia. Il fatto però, aggiungo io, è che oggi quasi tutti noi viviamo in costante compagnia, siamo sempre tutti connessi, siamo spettatori, siamo social, in balìa di influencer e di influenze di ogni tipo. E la stupidità, logicamente, imperversa. E in questo scenario cosa succede? Succede che a questa umanità sempre più incapace di governo di sé qualcuno offre (non certo disinteressatamente) l’intelligenza artificiale. Da qui l’incubo: stupidità naturale + intelligenza artificiale. Come chiamate il risultato dell’addizione?

Secondo Bonhoeffer, che non a caso scriveva “dieci anni dopo”, la stupidità era un problema anzitutto politico: a suo avviso infatti «qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia» (oggi io tolgo religiosa e aggiungo tecnico-scientifica) «provoca l’istupidimento di una gran parte degli uomini». Intravedeva una specie di legge socio-psicologica: «La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri». E ancora: «Sotto la schiacciante impressione prodotta dall’ostentazione di potenza, l’uomo viene derubato della sua indipendenza interiore e rinuncia così, più o meno consapevolmente, ad assumere un atteggiamento personale davanti alle situazioni».

Ecco, perfettamente delineato, il punto: l’indipendenza interiore. È a questo che si deve mirare. Di tecnici che sanno tutto del genoma e delle reti neurali e che poi mettono le loro conoscenze al servizio di chi paga di più ne abbiamo a sufficienza, sono il risultato di una scuola che consegna solo istruzione e trascura del tutto l’educazione. L’istruzione infatti ha come obiettivo il tecnico, il competente; l’educazione invece l’uomo libero, indipendente. Le due cose, ovviamente, devono andare insieme, ma oggi prevale di gran lunga la prima.

In questo articolo ho sostenuto che l’intelligenza artificiale non è necessariamente il contrario della stupidità naturale. Vi può esserne un uso che riduce la stupidità naturale, e un altro che la incrementa. La stupidità infatti non è assenza di conoscenze ma assenza di saggezza, ovvero di quella qualità da cui dipende l’umanità.

LA STAMPA

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