Casini: “Prudenza sulle riforme non sia una fuga dalla realtà”

Francesca Schianchi

«Incontrarsi tra persone civili non è mai sbagliato, certo bisogna poi vedere con che spirito lo si fa…». L’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, oggi senatore eletto da indipendente nelle liste del Pd, li ricorda tutti, i tentativi di riforme costituzionali fatti negli ultimi trent’anni, dalla Bicamerale di D’Alema al referendum fallito da Renzi. Oggi guarda all’iniziativa della premier – l’invito alle opposizioni per parlare di riforme – con una certa dose di scetticismo: «Proceda con cautela».

Con che spirito le sembra stia iniziando questo percorso?

«Ci si può incontrare per fare propaganda, per essere d’accordo nell’essere in disaccordo o per cercare un’intesa. Io spero si risolva in un dialogo sostanziale e non in una parata di propaganda reciproca».

Per arrivare a quale risultato?

«Io dico: a parte un piccolo drappello di destra, la Costituzione è frutto di uno sforzo condiviso da tutti, scritta da personaggi di primissimo piano: c’è veramente la necessità di cambiarla?».

Se imposta così la questione, però, diventa impossibile anche solo interrogarsi se si possa toccare.

«Non voglio dire che farlo sia lesa maestà. Constato però, in punta di piedi, che ogni volta che lo abbiamo fatto in passato abbiamo fatto pasticci. Stiamo attenti a non lacerare il nostro tessuto istituzionale».

Lei si è dichiarato contrario al presidenzialismo, perché?

«L’Italia è un Paese storicamente litigioso, serve un pater familias, un presidente della Repubblica che sappia interloquire con tutti e abbassi il tasso di litigiosità».

Un presidente della Repubblica che sia arbitro e non giocatore.

«È così, serve alternativamente a tutti, maggioranza e opposizione, che poi magari si scambieranno i ruoli. Prenda gli ultimi due presidenti, Napolitano e Mattarella: entrambi sono stati riconfermati, anche da chi non li aveva votati la prima volta».

Ma è successo a causa della debolezza della politica…

«Sì, certo, ma è anche sintomo del fatto che, per una politica debole, l’unica garanzia è la figura del presidente della Repubblica».

Gustavo Zagrebelsky paventa il rischio di alimentare un humus pericoloso nel Paese.

«Io non voglio drammatizzare né lanciare allarmi democratici. Ma guardo le cose con lucidità: gli Stati Uniti e il Brasile, due Paesi con sistema presidenziale, sono quelli in cui c’è stato l’assalto ai Palazzi da parte degli sconfitti delle elezioni. È una spia che si accende».

E come considera l’ipotesi di un “premierato forte”?

«Tutti i presidenti del Consiglio lamentano una carenza di poteri, ricordo che lo fecero spesso già Prodi e Berlusconi. Se si parla di adeguare i poteri del premier, che oggi non può nemmeno sfiduciare un ministro, è una cosa; tutt’altro è il cancellierato, che comporta un equilibrio costituzionale da rivedere. Dopodiché bisogna anche capirsi su cosa significhi democrazia».

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