‘Ndrangheta: “I criminali calabresi? Più famosi di Pablo Escobar”. Ecco le carte che spiegano come si sono presi l’Europa

Giuseppe Legato

L’intercettazione è un romanzo breve sul potere della ‘ndrangheta nel mondo. Parlando di traffico di cocaina «i calabresi sono più famosi di Pablo Escobar, hanno più soldi loro di lui». Così, l’imprenditore (colluso) Pasquale Bevilacqua – rientrato in un paesino della costa jonica reggina dopo decenni trascorsi a Canberra in Australia – raccontava alle famiglie Nirta e Strangio, enclave di altissimo rango mafioso originarie di San Luca, il suo profilo di emigrante di ritorno: «Calabria hai capito? Non Sicilia se vuoi fare business». Calabria come ponte verso il mondo, col ventre gonfio di soldi sporchi, con una mafia geneticamente portata a espandersi in ossequio a una logica darwinistica. Di evoluzione continua. Per conquistare mercati e territori.

Ed effettivamente la dimensione europea della malavita calabrese trasuda in tutte le migliaia di pagine che raccontano i 200 arresti eseguiti l’altroieri dai carabinieri del Ros, dalle procure di Reggio Calabria (guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri), Milano e Genova e dagli investigatori belgi e tedeschi. Il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, ha introdotto l’immagine «del network internazionale». Con cellule in Portogallo, Olanda, Francia, Belgio, Spagna, Nordreno Vestfalia, Turingia, Saarland in Germania. E casa madre in Aspromonte (o alle sue pendici). Eccoli gli estremi di una retta criminale che supera i confini, parla una lingua universale, quella dei soldi, vuole scrollarsi di dosso, quasi come un’ossessione «il rischio – si legge agli atti dell’inchiesta, dove un gregario intercettato introduceva il tema dell’infiltrazione nella politica – di rimanere una mafia agricola». Lo diceva anni fa un boss di Gioia Tauro a un giovane rampollo sulla strada dell’apprendistato: «Ricordati che il mondo si divide in due: quello che è Calabria e quello che lo diventerà». Una profezia.

E allora eccole le tonnellate di cocaina – 20 solo quelle sequestrate, molte di più quelle transitate nei porti – che viaggiano da Ecuador e Brasile verso Olanda e poi Italia. Le cosche calabresi, moderne e solvibili, hanno rilanciato quando il mondo sembrava crollare intrappolato nella pandemia da Covid. Le hanno comprate a partire da maggio 2020 dal clan del Golfo, formato da ex paramilitari dell’Auc che nel 2004 non accettarono accordi di pacificazione con l governo colombiano e si presero il mondo del narcotraffico partendo dal distretto di Antioquia. O dai membri dell’Oficina de Envigado, erede dello storico cartello di Medellin. O infine da gruppi (sempre paramilitari) di matrice leninista e marxista. Prezzi imbattibili, guadagni immensi. Con agganci nei porti di destinazione: due gli arresti di uomini delle cosche che avevano “avvicinato” portuali di Gioia Tauro. In Olanda ci pensavano gli albanesi a condurre fuori dal porto i borsoni da 300 chili per volta destinati alle famiglie di San Luca e Africo. Ristoranti e locali le lavatrici dei cartelli che a Lisbona, Braga e Vila Nova de Gaia aveva messo su «un indefinito numero di intestazioni fittizie anche su cinque ristoranti». Cognomi vecchi (Morabito, Giorgi, Bruzzaniti) che richiamano faide in mondovisione (Duisburg) e omicidi brutali, ma capaci di rigenerarsi di continuo per non perdere il monopolio di un traffico che vale ogni anno, decine di miliardi di euro: una manovra finanziaria. E che per ricambiare i favori (olandesi) alle mafie dell’Est con le quali hanno stabilito una inusuale (per la ‘ndrangheta) joint-venture “sbloccano” i loro carichi nei porti calabresi. I pagamenti viaggiavano su canali cinesi: una sorta di Hawala sulla quale sono stati documentati passaggi per 22 milioni di euro in due anni.

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