Quell’inutile ossessione per la privacy, tanto ci conosciamo tutti (per fortuna)

Ora il colpo di scena. Nella richiesta di amicizia di U307 (Francesca) a mio marito (sì, abbiamo coinvolto anche lui sebbene la sua frequentazione dei social sia minima, ma appunto: non si sa mai) compare la scritta: avete un amico in comune. È una scrittrice di cui U307 è fan, in virtù della sua passione per la letteratura. La scrittrice è una cara amica di famiglia che non sento da molto tempo. E però a lei U307 può mandare un messaggio. Lo fa, anzi lo faccio io. La sala d’attesa è ormai tutta alle nostre spalle, una curva che tifa. Scrivo «Ciao, scusami, sono Concita. Ho bisogno di te. Rispondi se puoi». Succede l’imponderabile. L’amica scrittrice risponde. «Questo non è il profilo di Concita – scrive – se sei davvero Concita dimostralo». Dimostro, con un aneddoto. (L’amica scrittrice mi dirà più tardi che mai nella vita aveva risposto a un messaggio, a una telefonata arrivata da Facebook da un profilo sconosciuto ma che quel giorno, poiché era a sua volta in una condizione di attesa col telefono in mano, per qualche oscura ragione l’ha fatto). La persona in comune fra U307 e mio marito si attiva, lo chiama. Lui naturalmente non risponde, sono cose che capitano. Però intanto diversi altri, coinvolti dall’emergenza, avevano chiesto amicizia ai miei figli – che hanno avuto quel pomeriggio una insolita sollecitazione da parte di sconosciuti. Chissà cosa avranno pensato.

Finisce che un figlio risponde. Accetta. Ciao sono mamma. Sono senza telefono. Avvisa papà. Sei mamma? Sì, sono mamma. Aneddoto di conferma. La scrittrice nel frattempo richiama. Ci parliamo dal telefono di U307. Mi dice: che storia incredibile. Le dico: davvero. Per strade diverse, il caso si risolve. Almeno con dodici (ma forse venti, ho calcolato a spanne) delle persone-numero in sala d’attesa avevamo qualcuno in comune. Siamo tutti, ora, diventati “amici”.

La sera, a casa, scopro come si chiama Francesca, U307. So il suo cognome. Lo so perché me lo dice l’amica che ha avvisato mio marito, il quale infine le ha risposto, e tutto bene. Dunque grazie, Francesca U307, ora Francesca S. Grazie anche all’amica «avete un amico in comune» che non accetta mai telefonate o messaggi da sconosciuti, ma quel giorno per puro caso sì. Esiste, il caso? Esiste, la privacy? Esiste la possibilità di trasformarci in numeri quando siamo in realtà tutti collegati da qualcuno che abbiamo “in comune”, uno due sei gradi di separazione al massimo? Che storia. Che testacoda del senso di quel che vorremmo essere e di quello che siamo. Davvero. Che occasione per pensarci nel mondo, e in quale mondo. Spero di non avervi annoiati. La privacy, sorridevo stanotte, ma quale privacy. Pazienza, no? A605 ora è un amico, di Francesca so il cognome e magari in futuro saremo amiche anche nella vita. Già ora, grande gratitudine. La privacy non esiste, è un gendarme inutile. Magari sarà un problema, per qualcuno. Di certo lo è. Non siamo mai soli, mai anonimi. Per me comunque, oggi, va bene così.

LA STAMPA

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