Ormai è il debito il vero sovrano

Sotto la spinta prepotente di tutti questi fattori assistiamo a una trasformazione delle costituzioni reali delle nostre democrazie, di cui finora si parla soltanto in qualche libro, ma che la politica ignora o rimuove. Sorvoliamo in questa sede sulle importanti disquisizioni intorno alla differenza tra emergenza e eccezione. La semplice realtà è che lo stato permanente di emergenza non può non finire col produrre una discontinuità istituzionale, e cioè una eccezione che contraddice le regole valse fino a quel punto. Lo Stato debitore sarà sempre più governato dalle “tecniche”, e dunque dai “tecnici”, rispondenti agli interessi del creditore. Sarà uno Stato amministrato secondo le finalità di quest’ultimo. La crisi radicale di sovranità comporterà uno sviluppo del conflitto sociale in forme completamente diverse dalla passata “lotta di classe”, ma non perciò meno radicali. E l’ordine interno potrà essere tenuto ricorrendo sempre più a procedure autoritarie, anch’esse completamente diverse dai totalitarismi novecenteschi, procedure che si presenteranno con l’aria paternalistica di una mera governance tecnico-amministrativa. Quali?

In corso di sperimentazione un po’ ovunque: misuratori di comportamenti sociali, “patenti” che dividano i cittadini in base alla loro “virtù” e stabiliscano così premi e punizioni; provvedimenti che inducano, a volte con gentile spinta, a volte con robuste gomitate, alle “buone pratiche”; raccolte sistematiche dei dati di ciascun individuo per misurarne, a sua insaputa, il rischio di “irregolarità”, non i reati commessi, ma appunto il pericolo che egli possa commetterli, e sorvegliarlo adeguatamente di conseguenza. Tutto ciò è futuribile soltanto per coloro che si ostinano a ignorare il presente e che hanno vissuto e vivono le emergenze di questi anni come qualcosa di contingente e passeggero, non come il segno di un salto d’epoca.

LA STAMPA

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