Pd senza tregua, martedì i capigruppo ma è tensione

Alessandro Di Matteo

ROMA. C’è un clima teso nel Pd, nonostante i sondaggi che danno il partito in ripresa, di nuovo intorno al 20%. La neosegretaria Elly Schlein è riuscita a imprimere una ventata di novità sul piano della comunicazione, ha dato un’impronta molto più “movimentista” e aggressiva al Pd, ma almeno per ora non è riuscita a sedare la tradizionale irrequietezza del partito. Schlein vuole cambiare i capigruppo in Parlamento, lunedì incontrerà i senatori e deputati per fare il punto politico e martedì i due gruppi si riuniranno separatamente per eleggere i nuovi presidenti, che per la segretaria dovranno essere Francesco Boccia al Senato e Chiara Braga, di area Franceschini, alla Camera. Una scelta che la segretaria difende con determinazione, ma che sta facendo saltare per aria la minoranza e crea qualche perplessità persino tra chi l’ha sostenuta alle primarie.

Parte dei sostenitori di Bonaccini minacciano la conta se non ci sarà «una scelta condivisa», e il presidente Pd ha dovuto convocare per domani una riunione dei parlamentari della sua area, per evitare che partisse addirittura un’iniziativa solitaria dell’ala più battagliera. L’idea che la “gestione unitaria” si esaurisca nella presidenza affidata a Bonaccini e in qualche posto in segreteria non piace a nessuno. E sotto accusa rischia di finire lo stesso governatore dell’Emilia-Romagna. Due parlamentari campani, giovedì scorso, si sfogavano alla buvette: «Lui si è venduto i capigruppo per avere la presidenza», sbottava uno ad un certo punto. Questa, del resto, è anche la versione che raccontano i fedelissimi della Schlein, secondo cui c’era l’accordo. Se lui avesse fatto il vice-segretario – è il loro ragionamento – sarebbe stato un altro discorso, ma avendo scelto di fare il presidente dell’Assemblea, avendo cioè optato per un ruolo di garanzia, si è giocato la possibilità di nominare un capogruppo. Una ricostruzione che però i parlamentari più vicini a Bonaccini smentiscono, convinti che sui capigruppo si sarebbe dovuto ragionare dopo, insieme. Domani, alla riunione dei suoi parlamentari, Bonaccini insisterà nel dire che un capogruppo debba andare alla minoranza, cercando di frenare i più intransigenti che chiedono di andare alla conta: «Noi siamo pronti – dice un parlamentare di “Base riformista”, l’area di Lorenzo Guerini – se non c’è condivisione, chiediamo a Serracchiani di candidarsi alla Camera e a Delrio di fare lo stesso al Senato».

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