Perché i margini di trattativa in Europa sono ridotti

di Massimo Franco

L’inizio del disgelo tra Macron e Meloni è un buon segno. Ma va inserito in una cornice che limita i comportamenti e i margini di manovra di tutti

È difficile sottrarsi alla sensazione che quanto sta succedendo a Bruxelles sia condizionato dall’invasione russa dell’Ucraina. E questo rende ogni decisione interlocutoria, destinata a successive verifiche e aggiustamenti. L’inizio del disgelo, o forse solo la fine del gelo tra la premier italiana Giorgia Meloni e il presidente francese, Emmanuel Macron, che ieri si sono incontrati dopo mesi di veleni, è un buon segno. Ma va inserito in una cornice che limita i comportamenti e i margini di manovra di tutti.

L’insistenza con la quale sia Meloni, sia il capo della Lega, Matteo Salvini, negano qualsiasi contrasto sulla politica estera, ne è la conferma. Nessuno può uscire da un recinto prestabilito. E per il resto, si procede quasi a vista. È così sulla politica migratoria, sulla quale il nostro Paese riceve rassicurazioni ma non garanzie che l’atteggiamento delle altre nazioni cambierà. Vale per la transizione ecologica, che vede il tentativo dell’Italia di ritagliarsi spazi di autonomia rispetto alle regole europee, e per il Piano per la ripresa.

Ieri è stato discusso di nuovo dal ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, col commissario alle questioni economiche di Bruxelles, Paolo Gentiloni. Si indovinano ritardi mentre deve arrivare il terzo finanziamento. E la neosegretaria del Pd, Elly Schlein, presente nella capitale belga per incontrare i vertici socialisti, esprime «preoccupazione». Ma nessuno può tirare la corda più di tanto. La Lega che ha disertato coi suoi ministri il discorso di Meloni in Parlamento sull’Ucraina, ora minimizza.

La stessa premier ridimensiona l’episodio. D’altronde, è oggettivo che la coalizione di destra alla fine abbia votato compatta, a differenza delle opposizioni che si sono divise. Non poteva essere diversamente, perché, distinguo a parte, l’esecutivo è convinto o costretto ad appoggiare le iniziative dell’Ue e della Nato contro l’aggressione militare russa. E per quanto Salvini e Silvio Berlusconi abbiano probabilmente il cuore che batte di solidarietà non solo verso Kiev ma anche verso Mosca, sanno di dover tenere a bada questi impulsi.

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