La difficile sintesi tra palco e realtà

ALESSANDRO DE ANGELIS

La novità è nella struttura stessa del discorso, tutto valoriale ed emotivo, molto “di sinistra”. Che dà l’idea di una certa freschezza rispetto a un partito ossificato negli anni e logorato dal governismo fino a smarrire la propria identità. Il Pd di Elly Schlein è un’altra cosa rispetto all’idea fondatrice: tenere insieme riformismo e radicalità, innovando le culture novecentesche che ne diedero vita. Però l’insediamento dell’outsider non restituisce, almeno per ora, l’idea di una proposta organica perché tutti i titoli elencati, in termini valoriali, non hanno ancora trovato una declinazione, in termini di iniziativa politica.

E già questo è un prezzo pagato alla ricerca di un afflato unitario, figlio del realismo e della consapevolezza di un partito spaccato in due dall’esito congressuale.

C’è, in questo, un elemento di simmetria che accomuna, sia pur nella loro profonda diversità, i destini paralleli delle due donne che hanno sfiorato i rispettivi tetti di cristallo: Meloni e l’anti-Meloni, insediatasi alla segreteria del Pd. Ed è il rapporto tra aspettative suscitate e realtà, nei reciproci contesti. Per l’una, a palazzo Chigi, ha preso forma in oltre cento giorni di retromarce e in un fallimento clamoroso sul dossier dell’immigrazione. Per l’altra, al Nazareno, il rinnovamento antropologicamente incarnato si misura almeno su un paio di terreni che, per ora, rappresentano un’incognita.

Il primo riguarda quale gruppo dirigente Elly Schlein vorrà costruire, ovvero i margini di autonomia che avrà la neo-segretaria nel perseguire l’annunciata “estirpazione” dei capibastone e, con essi, delle logiche correntizie che hanno fagocitato una serie infinita di segretari. Nella sua elezione nei gazebo c’è un’aspettativa rottamatoria. Nei primi atti c’è la preoccupazione di perdere pezzi rispetto agli equilibri interni: non solo l’elezione di Stefano Bonaccini alla carica di presidente, ma anche la rinuncia a indicare all’assemblea capigruppo e segreteria creano un primo iato tra anelito al rinnovamento e negoziato tra le correnti, già particolarmente vivace.

Il secondo è l’Ucraina, cui sono dedicati solo due minuti del discorso, dalle 13,20 alle 13,22, non il centro strutturato della relazione. E se è vero che, pur senza nominare la parola armi, per ora la neo-segretaria non ha messo in discussione il “sostegno” è percepibile una diversa declinazione della postura, di cui è anticipatorio il cambio di linea dell’immigrazione all’insegna dell’ “accogliamoli tutti”, senza proporre un’idea di governo dei flussi. La sua ragione sociale, e un pezzo di chi l’ha sostenuta, chiede un disimpegno a Kiev.

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