Così è esplosa la “bomba a orologeria” su Fdi. E i grillini si sono rimangiati la parola data

Felice Manti

La bomba ‘ndrangheta scoppia in Parlamento durante il voto sul Csm. Giuseppe Valentino, il candidato scelto da Giorgia Meloni per guidare da vicepresidente il prossimo organo di autogoverno della magistratura, deve lasciare l’ambita poltrona dopo la notizia che è indagato per reato connesso in un filone del processo Gotha. «Troppo fango su di me, faccio un passo indietro», dichiara l’ex sottosegretario alla Giustizia e presidente della Fondazione di Alleanza nazionale Valentino, che paga un prezzo altissimo l’aver difeso l’ex politico del Psdi Paolo Romeo, considerato un ufficiale di collegamento tra la massoneria deviata e la Ndrangheta.

«Era una bomba a orologeria – commenta al Giornale uno degli sherpa che da settimane lavora all’intesa tra centrodestra, renziani e le toghe moderate di Magistratura indipendente – Valentino era indagato da almeno un anno». Perché Fdi ha insistito? Misteri della politica, verrebbe da dire. C’è chi parla di pressioni di autorevoli esponenti del partito della Meloni, chi dice che Valentino era amico di tutti, chi dice che a quella poltrona teneva veramente. Sarà. «Ma allora perché non difenderlo fino in fondo?», si chiede un parlamentare che – assieme a qualche altro malpancista – ha votato a malincuore il pacchetto di mischia deciso nella notte tra lunedì e martedì grazie a un’intesa last minute tra maggioranza e opposizioni, quando tutti pensavano ormai che la seduta di ieri sarebbe stata sostanzialmente inutile. M5s gongola, sublimando il proprio giustizialismo al punto di tradire la parola data («Non lo votiamo più») facendo infuriare i renziani («Gli accordi con loro sono carta straccia», dice Raffaella Paita) mentre Forza Italia incassa la scelta di ridurre a uno i nomi dei candidati di bandiera (alla fine sarà l’emiliano Enrico Aimi), nonostante l’idea di candidare le ex parlamentari Mirella Cristina e Fiammetta Modena per agevolare l’indicazione sull’equilibrio tra i generi previsto dalla riforma Cartabia. Invece deve accontentarsi del solo Enrico Aimi, perché alla fine Fratelli d’Italia reclama quattro caselle e soprattutto la poltrona cruciale di vicepresidente, decisiva nel cammino della riforma della giustizia annunciata dal Guardasigilli Carlo Nordio. Poi lo stop e la virata su Felice Giuffrè, professore di diritto a Catania, la cui nomina resta in bilico perché i grillini – che non voteranno neanche Ernesto Carbone, candidato di Azione-Italia viva – non garantiscono i numeri. «Non mi sembrano nomi all’altezza dell’incarico delicatissimo che li aspetta», maligna uno dei 287 avvocati che aveva deciso di offrire la propria candidatura, sperando che qualche partito avrebbe puntato su un outsider. Lo scivolone su Valentino non è certo il migliore biglietto da visita per convincere le toghe moderate di Magistratura indipendente a votarlo. «Valentino avrebbe arrecato al Csm quel prestigio di cui l’organismo è rimasto privo durante gestioni che hanno inorridito il Paese intero, chi lo denigra è da commiserare», lamenta il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri (Forza Italia).

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