Calenda: «Il Pd andrebbe con i Cinque Stelle anche se fossero i nazisti dell’Illinois»

di Maria Teresa Meli

Il leader di Azione: costruiremo noi un grande partito riformista

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Carlo Calenda, niente vicepresidenze di Camera e Senato per il Terzo polo…
«Se da qui a mercoledì non ci sono novità non parteciperemo al voto perché una delle opposizioni è esclusa dall’accordo Pd-M5S, il che fa capire che sotto traccia un’intesa tra di loro su tutto c’è già. I dem non avendo più nessuna idea scelgono sulla base della consistenza elettorale. Dicono: i 5 Stelle hanno più voti andiamo con loro. Fossero i nazisti dell’Illinois farebbero lo stesso».

Lei continua a non parlare con Letta?
«Letta non mi risponde. Non ho più sentito né lui né nessuno del Pd quindi anche sulle Regionali non abbiamo nessuna intesa. In Lombardia le strutture locali stanno lavorando per vedere se c’è lo spazio per un accordo ma nel Lazio non abbiamo notizie. Il Pd sta chiaramente puntando a rinsaldare i rapporti con il M5S e a escluderci».

Le ultime notizie sul nuovo governo e le trattative

In Lombardia no, però.
«Sì ma stanno lavorando a livello locale. A livello nazionale non c’è nessuna interlocuzione. A livello nazionale infatti il Pd ha già scelto e ha scelto il M5S come testimonia l’accordo che hanno fatto per escluderci dalle vicepresidenze di Camera e Senato».

Ma dopo il congresso dem non sarà possibile riallacciare i rapporti con il Pd?
«No. Credo che il Pd chiederà l’unità delle opposizioni, come fa sempre, dirà “buttiamoci tutti insieme contro la destra”».

E lei che risponderà?
«Non è questo il nostro progetto: noi pensiamo invece che vada offerta un’alternativa di governo. E siccome il Pd ha terminato il suo percorso di partito riformista il nostro obiettivo è costruire un grande partito riformista italiano, altrimenti si continuerà sempre con lo schema “fascisti contro comunisti”».

Lei ha detto porte aperte ai dem riformisti, ma nessuno è venuto a bussare da voi…
«È troppo presto. Ora sono gli amministratori locali del Pd a venire da noi, poi vedremo se verrà l’area riformista. Ma sinceramente io penso che loro non verranno perché lì prevale la cultura dei miglioristi, che stanno dentro qualsiasi cosa succeda. Possono dissentire ma alla fine hanno una convenienza a stare dentro. Questo vale per Irene Tinagli come per Giorgio Gori. Anche di fronte all’alleanza con i 5 Stelle trovano sempre il modo di stare zitti e di adeguarsi. Non capiscono che il partito è sempre in mano ai soliti quattro: Zingaretti, Bettini, Orlando e Franceschini».

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