Scocca l’ora di Giorgia. Il lungo cammino dalle ceneri dell’Msi alla stanza dei bottoni. Così ha forgiato una destra moderna

Paolo Guzzanti

Non da ieri, certamente. Ma, quasi di colpo, Giorgia Meloni è diventata una star internazionale. Tutti parlano, scrivono, analizzano, inventano o documentano in tutte le lingue l’immagine, la politica, pregi e difetti, leggende e realtà di Giorgia Meloni, sia sulle pagine di carta che sugli schermi grandi, piccoli e minuscoli perché lei è oggi la protagonista del «grande caso italiano».

Provo a ricostruire il personaggio e come è arrivato ad ambire legittimamente al ruolo di primo ministro donna, e di destra. Sulla questione della destra, di quanto sia «estrema» o normale, si capisce quanto sembri complicato orientarsi su di lei, perché Giorgia Meloni più che multipla è caleidoscopica. Un giornalista del New York Times ha chiacchierato con lei in inglese al bar di un albergo dove, sorseggiando uno spritz, le ha chiesto: «È vero o no che lei ha preso definitivamente le distanze dal fascismo?» e Giorgia Meloni (secondo il giornalista) avrebbe risposto soltanto con un distratto monosillabo: «Yeah», facendo cadere il discorso. Ma il tema del fascismo, se lei sia o non sia l’erede di Mussolini o almeno dei suoi seguaci, la segue come un’ombra, anche se dal punto di vista ideologico, più di Mussolini, morto più di trent’anni prima che lei nascesse, hanno contato i romanzi (con film e serie televisive) di J.R.R. Tolkien come Il Signore degli Anelli, Lo Hobbit e tanti altri ispirati ad un universo immaginario in cui si esalta l’unità fra simili quando sono costretti a difendere la loro identità e il loro mondo dalle invasioni degli orchi e altri mostri.

Di qui, come è evidente, si sviluppa tutta la sua politica contro «la sostituzione» di un popolo dall’arrivo di masse provenienti da altri mondi gli immigrati che sbarcano senza controllo che sostituiranno il nostro. Il fatto che Giorgia Meloni affondi le sue radici in una serie di romanzi fantasy e non dai teorici del razzismo, non la rende immune dalle accuse di razzismo e di posizioni comuni alla Le Pen, a Orbán e ai polacchi, da cui però ha cercato di prendere le distanze a colpi di timone e cambi di velatura. Ma è sicuro che queste radici l’hanno messa rapidamente in contatto con una parte crescente di italiani che in Italia, come altrove, resistono con paura alla minaccia di un cambio di identità. E su questo punto la Meloni trova più consensi nell’area di destra di quanti non incontri più Matteo Salvini perché probabilmente ha sviluppato una forma di comunicazione più diretta e comprensibile in un panorama difficilissimo in modo da rassicurare tutti.

Giorgia Meloni si è fatta le giovani ossa nell’Msi, che nell’immediato dopoguerra nacque per rappresentare i fascisti sconfitti. Non era un partito di neofascisti, ma di ex fascisti e dalle organizzazioni giovanili, il Fronte della Gioventù e le attività sindacali nelle borgate romane abitate da quella classe sociale che Karl Marx chiamava il «Lumpenproletariat», un gradino sotto il proletariato organizzabile dal Partito comunista. La sua esperienza ha avuto come teatro ed ecosistema un mondo più vicino a quello dei romanzi di Pasolini, anche se vissuto in maniera opposta. Alla sua origine sentimentale e politica c’è sempre l’idea di una piccola patria che all’inizio era la Garbatella, un Bronx romano con una umanità priva di ideologia e proprio per questo etichettata con molta pigrizia come di destra, ma un genere di destra.

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