Dall’iperinflazione all’ascesa del nazismo: alle radici della grande paura tedesca

Andrea Muratore

L’inflazione è la grande paura per la Germania e la sua economia, un nemico ritenuto insidioso la cui pericolosità è percepita a livello sociale. Non poteva essere altrimenti in un Paese la cui economia è figlia dell’incontro tra il modello renano di capitalismo, di matrice protestante, e quello cattolico-bavarese, fondato sull’economia sociale di mercato: per la Germania e la sua società l’economia e i suoi modelli informano la società, gli equilibri interni, i rapporti tra i corpi intermedi. E l’inflazione è la perturbazione per eccellenza: danneggia il meccanismo di mercato, turba i rapporti tra salari, dinamiche delle imprese, organi sociali, crea incertezza. E in prospettiva, quella povertà che il modello vuole evitare.

La memoria dell’inflazione di Weimar

Il precedente storico del lungo decennio che condusse dall’iperinflazione di Weimar all’ascesa del nazismo (1923-1933) ha segnato radicalmente la storia e la politica tedesche. Tanto da portare l’inflazione stessa ad essere il grande tabù nel discorso politico germanico. Lo ricordiamo bene, pensando ai tempi dell’austerità merkelianain cui la deflazione interna e la compressione delle economie mediterranee ad alto indebitamento, spesso guidate da leader totalmente allineati alle logiche economiciste di Berlino (vedasi Mario Monti), fu ritenuta dalla Germania preferibile a qualsiasi politica monetaria e fiscale interventista. Il timore? L’aumento dell’inflazione. Che anche Mario Draghi ha dovuto limitare, come target, al 2%, per far digerire ad Angela Merkel il quantitative easing.

E di fronte a un’inflazione che in Germania, soprattutto per i rincari dei prezzi energetici, è arrivata nel luglio 2022 al 7,5% non si può non pensare al fatto che l’impatto psicologico e politico di questi rincari, senza precedenti per la Germania tornata unita, possono giocare un ruolo nel condizionare le scelte strategiche che Berlino prenderà per condizionare le politiche europee. “Il problema con cui abbiamo vissuto negli ultimi anni è stata piuttosto la pressione deflazionistica, cioè tassi di inflazione troppo bassi”, ha dichiarato all’Huffington Post lo studioso austriaco Philipp Heimberger, economista dell’Istituto di studi economici internazionali di Vienna. “I salari sono cresciuti poco, la disoccupazione è rimasta alta. È quindi difficile immaginare come in questo contesto possa innescarsi una spirale salari-prezzi che apra la strada all’inflazione galoppante. Siamo lontani, molto lontani dalla piena occupazione”. Motivo per cui, secondo l’economista austriaco, il problema ora “non è tanto l’inflazione ma le preoccupazioni eccessive per l’inflazione”. Vero nodo da tenere in considerazione quando di mezzo c’è la Germania.

Come esplose il costo della vita

Racconta Tucidide che nella marcia di avvicinamento alla Guerra del Peloponneso fu il timore reciproco di Atene e Sparta a creare le condizioni per la guerra aperta tra le due potenze elleniche. Lo stesso si può dire dell’inflazione. Spesso è il timore di conseguenze rovinose per i rincari dei prezzi a generare, per una strana eterogenesi dei fini, politiche economiche contraddittorie tali da far avverare i più foschi presagi. Accadde ai tempi della recessione dell’Eurozona: il mito dell’austerità espansiva, del pareggio di bilancio, della deflazione interna portò l’euro a un passo dal fallimento, diede fiato alle trombe dei movimenti populisti, da ultimo provocò la recessione che si temeva avrebbero causato manovre eccessivamente libertarie sui conti pubblici e inflattive. Soprattutto, esiste il grande precedente del 1923-1933.

Terrorizzata dallo choc dell’iperinflazione del 1923, la classe dirigente della Repubblica di Weimar finì per mettere in campo le scelte politiche distruttive che, al momento della verità, alimentarono i consensi del Partito Nazionalsocialista, esploso come movimento populista ed eversivo ai tempi del Putsch di Monaco guidato da Adolf Hitler e, dopo la sua scarcerazione in seguito al fallito golpe, esploso come forza di protesta capace di catalizzare la rabbia del ceto medio impoverito.

La Repubblica di Weimar aveva prodotto, soprattutto per la convergenza sui temi di Zentrum, il partito cattolico, e Spd, la principale formazione socialdemocratica, una Costituzione di avanzatissimo livello sociale per costruire le basi della Germania uscita sconfitta dalla Grande Guerra: suffragio universale esteso alle donne, libertà di assemblea, tutela delle libertà individuali e della proprietà, massime libertà sindacali. La cui attuazione fu messa fin dall’inizio in difficoltà dai vincoli con cui Berlino si confrontava. Come ha ricordato nel 2015 dall’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio in una lectio magistralis tenuta a Trento per parlare delle conseguenze economiche della Grande Guerra, la pace punitiva di Versailles fu una di queste problematiche: “A causa delle esagerate riparazioni di guerra richieste dagli Stati vincitori, la Germania viveva gravi difficoltà dell’economia, anche per tentare di venire incontro, con sussidi e forme di occupazione fittizia, a quasi 6 milioni di uomini che dalla guerra erano rientrati nelle attività civili” e considerati la base sociale più fragile del Paese.

L’equilibrio, ha ricordato Fazio, venne trovato “ricorrendo progressivamente alla stampa di moneta. Il marco inizia a perdere valore nei confronti delle altre monete: salgono i salari e i prezzi, lo Stato riduce la disoccupazione creando nuova moneta. Nel 1919 l’aumento dei prezzi sale in un anno al 60%, nel 1920 del 240%. Nel 1923, a causa anche dell’invasione della Ruhr da parte dei francesi, sale tra il 15 e il 40% al giorno”. A novembre 1923 un chilo di pane costava 428 miliardi di marchi, un francobollo 100 miliardi. Il governo di Weimar ritirò il Reichsmark e lo sostituì con una nuova versione per decapitarne i rincari. Da allora in avanti, qualsiasi espansione di bilancio fu vista per anni in Germania come una vera e propria eresia. E sul fronte politico si prepararono i primi segni della svolta che si sarebbe concretizzata dieci anni prima.

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