Appello di Segre a Meloni: “Via la fiamma dal simbolo”. Ma Fratelli d’Italia fa muro

Luca Monticelli

ROMA. Dopo la presa di distanza di Giorgia Meloni dal fascismo e dalle leggi razziali, le polemiche sulla presenza della fiamma nel logo di Fratelli d’Italia continuano ad agitare il dibattito politico. La fiamma fu inventata dai reduci di Salò che fondarono l’Msi, rappresenta il simbolo della stessa fiamma che arde sulla tomba di Mussolini.

Il centrosinistra accusa Meloni di una condanna di facciata, fatta più per la stampa estera che frutto di un vero ripensamento. La candidata premier del centrodestra, infatti, qualche giorno fa, in un videomessaggio in tre lingue inviato ai giornalisti stranieri, aveva detto che «la destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia da decenni ormai, condannando senza ambiguità la soppressione della democrazia e le infami leggi contro gli ebrei».

Ieri, è intervenuta anche la senatrice a vita, e sopravvissuta ad Auschwitz, Liliana Segre. «Nella mia vita ho sentito di tutto e di più, le parole pertanto non mi colpiscono più di tanto. A Giorgia Meloni dico questo: inizi dal togliere la fiamma dal logo del suo partito». In una dichiarazione affidata a Pagine Ebraiche, il quotidiano dell’Ucei, Segre aggiunge: «Partiamo dai fatti, non dalle parole e dalle ipotesi».

Alla senatrice a vita ha risposto l’esponente di Fdi Ignazio La Russa, rinfacciandole la candidatura del marito proprio nelle fila del Movimento sociale: «Il marito della stessa senatrice Segre, che ho personalmente conosciuto e apprezzato, si candidò con Almirante sotto il simbolo della fiamma con la scritta Msi senza ovviamente rinunciare alla sua lontananza dal fascismo». Una vicenda, quella del marito, che la senatrice Segre ha raccontato essere stata molto dolorosa per lei, ma che si risolse con l’addio repentino del coniuge al partito.

Secondo La Russa «la fiamma presente nel simbolo di Fratelli d’Italia – oltretutto senza la base trapezoidale che conteneva la scritta Msi – non è in alcun modo assimilabile a qualsiasi simbolo del regime fascista e non è mai stata accusata e men che meno condannata come simbolo apologetico».

Una presa di posizione molto forte arriva anche da Enrico Fink, presidente della Comunità ebraica di Firenze, che alla cerimonia della liberazione del capoluogo toscano dai nazifascisti, sottolinea come «ricordare significa opporsi anche alle idee che stanno alla base del fascismo. Come l’esaltazione di un’identità che diventa fortino da difendere con le armi o, come diremmo oggi, con i respingimenti navali». Fink si rivolge poi «a chi si candida alla guida del Paese. L’antifascismo è un valore fondante e per praticarlo non basta prendere le distanze dalle leggi razziali».

Tornando alla campagna elettorale, Matteo Renzi definisce la fiamma tricolore che appare nel simbolo di Fratelli d’Italia «un problema della Meloni, fossi in lei lo toglierei, anzi l’avrei già tolto, spero che non lo votino in tanti». Per Chiara Gribaudo della segreteria del Partito democratico, «l’antifascismo si pratica, non si dichiara soltanto».

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