Sabino Cassese: “Non demonizziamo il presidenzialismo ma il timore del tiranno in Italia è vivo”

Come mai questa riforma non ha mai visto la luce, anche se dal 1995 viene riproposta dalle forze di centrodestra che hanno governato in varie fasi? Forse perché il Paese non accetta il rischio di un ritorno all’autoritarismo?

«I due fatti nuovi dell’ultimo ventennio sono l’introduzione di un sistema presidenziale a livello regionale e locale, che ha prodotto una asimmetria di poteri, in particolare tra regioni e governo centrale. In secondo luogo, il crescente ruolo del Consiglio europeo, nel quale i presidenti del Consiglio italiani, sempre transeunti, finiscono per perdere peso. Non c’è dubbio, però, che il “timore del tiranno”, cioè la paura che un presidente eletto possa sommare troppi poteri ed esercitarli in senso non liberale (alla Orban, per intenderci), limitando libertà di espressione e diritti fondamentali, sia ancora vivo, e prevalga sul bisogno di un “governo che governi”. Nel valutare le istituzioni, bisogna tener conto della cultura amministrativa diffusa, della capacità di lavorare con gli altri, della padronanza delle nuove tecnologie, della scolarizzazione della società, del personale politico e di quello amministrativo».

A proposito, le sono parse commisurate le parole di abiura del ventennio fascista da parte della Meloni?
«Le risponde una persona che ha cominciato a studiare il fascismo nel 1953, otto anni dopo la morte di Mussolini e che ha scritto sei anni fa un libro intitolato “Lo stato fascista”, oltre a molte altre analisi dei danni fatti all’Italia dalla dittatura. Ma anche delle importanti novità che vennero introdotte, specialmente subito dopo la grande crisi economica del 1929–1933 da persone come Beneduce, Menichella e Bottai, per fare soltanto tre nomi».

E dunque?
«Non dò tanto importanza alle distanze prese da Fratelli d’Italia rispetto al fascismo, quanto a quello che proporrà e poi realizzerà sui temi importanti del nostro Paese, e il nostro futuro, a partire dal tasso di scolarizzazione della nostra società (siamo tra gli ultimi in Europa, con le conseguenze che può immaginare per i nostri giovani) e dalla produttività totale dei fattori, l’indicatore del grado di efficienza complessiva dell’economia, diminuita negli ultimi tempi di più del 6 per cento».

LA STAMPA

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