Promettete, purché con giudizio

di Angelo Panebianco

È inevitabile che in campagna elettorale sia presente una certa dose di demagogia, sia da parte della destra sia da parte della sinistra, Dobbiamo sperare che qualche germoglio di razionalità sbocci persino in questa campagna elettorale

P romettere la luna ma con giudizio. È inevitabile che nelle campagne elettorali delle democrazie a suffragio universale sia presente una certa dose di demagogia. Fortunata è quella democrazia nella quale la sobrietà dei costumi e un’attitudine a pretendere dai politici razionalità da parte dell’opinione pubblica, riducono a dimensioni sopportabili il tasso di demagogia. Peraltro, democrazie così, per un insieme di ragioni, non ultimi i nuovi sistemi di comunicazione, tendono oggi a scomparire.

L’Italia, comunque, non è, non è mai stata, simile alla Svizzera o alla Norvegia. Le nostre campagne elettorali ricordano quelle variopinte e pittoresche dell’America Latina. Se non fosse così non avremmo accumulato nel corso dei decenni, con il consenso o la noncuranza dell’elettorato, un così grande debito pubblico, ossia una gravosissima tassa a carico delle generazioni successive (sulla base del principio «ma chi sono questi posteri e che cosa hanno mai fatto per noi?»). Né si sarebbe perpetuata per tanta parte della nostra storia una tragedia: il fatto che, per lo più, quando si scontrano l’anima riformista e quella massimalista della sinistra è quest’ultima a prevalere (il che spiega la democrazia bloccata, l’impossibilità dell’alternanza, per tutto il periodo della Guerra fredda). O, per venire a tempi recenti, non si spiegherebbe il trionfo populista nelle elezioni del 2018. Diciamo che abbiamo alle spalle tradizioni politiche che non favoriscono sobrietà e razionalità.

Prendiamo in considerazione alcune delle promesse della luna che sono già state fatte agli elettori come la flat tax, il bonus per i diciottenni o il presidenzialismo.

La proposta leghista della flat tax contiene una (nascosta) razionalità. Non nel senso che tale proposta possa trovare attuazione. Solo qualche sprovveduto può crederlo. La razionalità della proposta sta altrove. Da un lato, serve alla Lega per competere con Fratelli d’Italia: «Vedete, la luna che promettiamo noi è più grande di quella che promette Meloni». Dall’altro, serve a rassicurare gli elettori: se vinciamo noi state certi che non aumenteremo le tasse.

La proposta del bonus ai diciottenni da parte del Pd è altrettanto demagogica. Ma in più si scorge in essa anche un velo di malinconia. Il bonus non serve a cambiare la condizione giovanile. Occorrerebbe altro. Soprattutto un mercato del lavoro non irrigidito da troppi vincoli, capacità di attrarre investimenti, eccetera. La nota malinconica sta nel fatto che con la proposta di finanziare il bonus agendo sulla tasse di successione dei più ricchi, il Pd ha già messo in conto che perderà le elezioni. Tanto vale — si sono detti — dare un contentino a quella parte del nostro elettorato a cui piace l’idea di tassare i ricchi a prescindere. E pazienza se ciò dà alla destra un’arma in più per dipingere il Pd come il partito delle tasse. Per inciso, è buona l’idea del Pd di migliorare lo stato del capitale umano aumentando gli stipendi ai professori nel corso della loro carriera. Peccato che la proposta sia monca. Perché dovrebbe essere accompagnata dalla promessa di cacciare quei docenti che, mettendosi sotto i piedi l’etica professionale, regalano voti e diplomi anche ai non meritevoli. Commettendo così il reato di falso in atto pubblico (reato inequivocabilmente dimostrato dai risultati dei test Invalsi). Solo la somma di questi due provvedimenti potrebbe migliorare davvero quantità e qualità del capitale umano in Italia.

E perché non citare il blocco navale che viene di tanto in tanto proposto da questo o quello esponente della destra? Giudiziosamente, esso non viene esplicitamente evocato nel suo programma elettorale. Resta che questa idea ogni tanto ritorna. Ma è del tutto impraticabile. L’Onu, l’Europa, il Papa, la magistratura, tutti contro. Se vincesse le elezioni, sarebbe sensato, da parte della destra, cercare un accordo con i settori più responsabili dell’opposizione su come fronteggiare la piaga dell’immigrazione clandestina. Oltre a tutto, ciò metterebbe in difficoltà i massimalisti di sinistra. Ricordo che quando il miglior ministro dell’Interno che sia stato espresso dalla sinistra, Marco Minniti, provò a fare qualcosa, finì subito sotto il «fuoco amico» (amico si fa per dire) della sinistra medesima.

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