Il ricatto nucleare nuova arma di guerra

Accanto a una possibile apocalisse di chilotoni tattici e strategici c’è chi rammenta altri rischi forse più concreti: ovvero che a causa della situazione possa sopravvenire un calo di alimentazione che blocchi il raffreddamento dei reattori. Oppure in un sito in cui i tecnici sono costretti a lavorare tra bombardamenti e minacce possa verificarsi un irreparabile errore umano. Senza dimenticare che un guasto sarebbe difficile da riparare in un luogo costeggiato da fronti di guerra impegnati a scambiarsi cannonate. La nostra unica assicurazione quindi è nei metri di cemento armato. Proiettili di artiglieria, si assicura, difficilmente possono sfondare i ciclopici spessori della centrale. Ma siamo come sempre alle simulazioni. La realtà chissà…

All’inizio della guerra si è discusso, poco, sui rispettivi arsenali atomici russo e americano e le possibili prospettive di fine del mondo. In quel caso la sorprendente assenza di panico universale si poteva far risalire alla certezza che funzionasse sempre la vecchia, saggia regola non scritta della Guerra fredda prima maniera. Mille bombe di qua mille di là: ma servivano solo come ipotesi, come deterrenza contro i colpi di testa. Conoscendo entrambi le conseguenze.

Ora dopo sei mesi siamo già scivolati su un piano ben più inclinato. Le centrali atomiche sono diventate arma di guerra, che sia ricatto o propaganda in fondo è dettaglio poco importante.

Cito Zelensky: un incidente a Zaporizhzhia sarebbe la fine dell’Europa, la fine di tutto. Se il presidente ucraino pensava di sollevare fervide indignazioni contro l’ennesima, apocalittica conseguenza dell’aggressione russa deve esser rimasto deluso. Ci stiamo, non c’è dubbio, avviando a una stagione di grande indifferenza nei confronti della tragedia ucraina. Di più: di sincera avversione. Dalle spiagge di tutta Europa salgono sospiri di noia verso questa guerra ormai di trincee, di avanzate millimetriche, di offensive mostruose e risolutive ma che non arrivano mai. La guerra, soprattutto quella degli altri stanca. Persino gli europei dell’est finora zelantissimi nei confronti degli sventurati profughi ucraini danno segni di volere che i fratelli ucraini tornino a casa.

Perfino una nuova Chernobyl causata da cannonate non ha la densità dell’incubo e lo splendore dello spavento. C’è solo l’aria appiccicosa legata al vecchio dibattito di politica interna sul nucleare civile da far risorgere in epoca di penuria energetica. Niente che valga iperboli violente e parole terribili.

Tutti si sono autoconvinti che la guerra atomica sia qualcosa di anacronistico. Già: ma Zaporizhzhia?

LA STAMPA

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