Il campo avvelenato del centrosinistra

Concita De Gregorio

Mario Draghi non è su Twitter, per cui pensa che meraviglioso silenzio, che straordinaria concentrazione può riservare al disbrigo degli affari correnti mentre fuori l’apocalisse del nonsenso si porta via le ceneri della politica. Certo, qualcuno lo avvertirà di tanto in tanto. Presidente, Fratoianni ha scritto a Calenda di andarsi a comprare l’agenda in cartoleria. Chi? Fratoianni, quello di Sinistra Italiana. Ah. Cosa ha scritto? L’agenda, in cartoleria. Va bene, grazie. Mi può far avere quel fascicolo che abbiamo alla firma? Presidente. Sì? Calenda si è offeso dice che con quelli non ci può stare insieme. Quelli chi? Fratoianni, come le dicevo. E Bonelli. Gentilmente, mi ricorda Bonelli? Bonelli, i verdi. Ah, sì. Il fascicolo, grazie. La verità è che Enrico Letta non poteva farci niente. In nessun modo, nemmeno con un fioretto alla Madonna avrebbe potuto tenere insieme nella stessa coalizione persone che quando entrano in uno studio televisivo bisogna mandare gli uscieri per non farle incontrare, se una entra da destra l’altra esce da sinistra, non si vogliono vedere.

È tornato troppo tardi, da Parigi, il bubbone è scoppiato troppo presto. Ci sarà un motivo per cui assolutamente, in ogni modo, la crisi di governo la voleva scongiurare. Il Pd è da decenni, ormai, una babele di mandarinati, un coacervo di piccoli potentati diffidenti gli uni degli altri, pozze di potere sempre più esigue gestite in maniera sempre più proterva: chi perde le primarie non vota per dispetto chi le vince, e così si sono persi per anni i comuni e le città. Gli staff dei vecchi leader passano il tempo a dileggiare i successivi, che sono i penultimi, e i penultimi si accaniscono sugli ultimi, gli ultimi da capo sui primi. Le filiere sono composte da parlamentari fedeli perché nominati dai leader, da cronisti “di area”: presidenti di commissione e sottosegretari scelgono da chi essere intervistati, chiedono di avere prima le domande quando non le dettano, mettono veti su chi può sedere al loro fianco nel contraddittorio. Non tutti certo, le eccezioni sono luminose e riconoscibili, ma confermano: questa è la regola. Ovvio che buona parte di responsabilità sia anche di chi ha acconsentito, il sistema del media – giornali e tv – si è sostanzialmente prestato perdendo con questo credibilità, barattata con la volatile e contigua confidenza dell’appartenenza. Anche qui, preclare le eccezioni – sempre riconoscibili poiché pagate a qualche prezzo.

L’onore e la bellezza

Letta è tornato, richiamato in patria direttamente da Mattarella, con il compito di riformare il partito e l’alleanza. Il Campo Largo. Peccato però che il campo fosse appunto avvelenato. A partire da Renzi, a cui nel 2014 dovette consegnare il governo sotto lo sguardo di Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica di cui un giorno sarà riscritta in toni forse nuovi la storia. Renzi il grande stratega, il rottamatore di Bersani, l’artefice del governo Draghi, Renzi che dal 2 per cento con ambizioni al 5 non è chiaro se non sia oltre che la sponda anche il socio occulto, il mandante: il tempo a breve dirà se la clamorosa rottura di Calenda col Pd, Enrico Letta baciato giusto un attimo prima con fervore sulla guancia, sia solo una questione di cattivo carattere, di egolatria o anche una faccenda politica. La costituzione di un polo di Centro magari sotto le insegne del partito di Renzi, così Calenda non deve affannarsi con le firme. L’eterno ritorno del Terzo Polo: i moderati, i draghiani, quelli che possono portare via consensi a Forza Italia – dicono gli strateghi – dunque pericolosi per la Destra. Peccato però che una buona parte di Forza Italia sia già transitata in Azione, di fatto la Destra è già nel Centro, ma soprattutto peccato che con questo tragico sistema elettorale un terzo polo non serva che a se stesso, perché questa è una gara a due: il terzo concorrente può tutt’al più mettersi al servizio di chi vince, magari portando in dote – in pretesa – qualche ministero di supporto. Nel calcolo delle previsioni è favorita la destra, dunque meglio fare da sponda a chi vince che restare al palo. Niente di male, è politica. Solo che non c’entrano l’onore e la bellezza, è convenienza. Un’alleanza di governo dei centristi con la destra, se alla destra non dovessero bastare i voti per governare, è sulla carta già pronta. In nome della “difesa dell’agenda Draghi”, dicono e diranno ancora i protagonisti della diaspora, tutti eletti una volta col Pd. Ma l’agenda Draghi – questo bisogna sillabarlo – non esiste. L’agenda Draghi è Draghi, è la sua persona: la competenza, esperienza, la capacità di discernere le priorità, la credibilità, l’autorevolezza nel mondo. Senza Draghi, in mano a chiunque altro, la fantomatica agenda sono fogli al vento. Questo non significa che Draghi – il suo stile, il suo metodo – fosse il migliore dei progetti, per carità: può dispiacere come dispiace a Fratoianni e Bonelli, a Conte e a Di Battista, a Salvini e Meloni.

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