Cacciari: “Letta obbligato all’intesa con Calenda, ma gli servono anche Renzi e Di Maio”
Andrea Malaguti
Professor Cacciari, che effetto le fa la Santa Alleanza?
«Bé,
mi pare fosse inevitabile. O si decideva per il suicidio o si cercava
l’intesa più ampia attorno al Pd di tutte le forze di centro. Non c’era
alternativa per essere competitivi con le destre».
E adesso?
«Adesso bisogna provare a dare un
minimo di contenuto all’accordo. Servono due o tre idee chiare per
mascherare lo stato di necessità che ha spinto all’alleanza. Cercando di
non fare emergere competizioni tra leader o pseudo-leader»
Perdoni la domanda vagamente calcistica: ha vinto Letta o Calenda?
«Entrambi.
Ma a Letta non basta Calenda. Deve sistemare anche Di Maio,
considerando i due o tre voti che porta. E non può rinunciare neppure a
Renzi».
Gli servono le briciole?
«Gli serve tutto. Di
Maio rappresenta il residuo governista di un partito che valeva il 30%,
Renzi è un ex premier che non molti anni fa stava tra il 30 e il 40%.
Sono personaggi che, nel deserto patrio, hanno una storia».
Piuttosto inconsistente, considerata la velocità con cui è stata divorata e archiviata.
«Una
storia movimentista e fragilissima. Figlia di una crisi di
rappresentanza radicale con cui facciamo i conti da qualche decennio.
Una storia che lascia senza protezione il 50% degli italiani.
Sostanzialmente quelli che non vanno più a votare».
Chi lo raccoglie questo malcontento?
«Da qui al 25 settembre nessuno. La sinistra non esiste più».
È un rischio?
«Grosso».
Veramente Letta, intervistato dal Corriere della Sera, ha detto che la sinistra è lui.
«Ma che cosa sono, comiche?».
Convinzioni precise, apparentemente.
«Forse
rispetto a Giorgia Meloni. Forse sul piano dei diritti. E dico forse
perché anche sul piano dei diritti siamo alla frutta. Quel che c’era di
sinistra è andato a puttane con la guerra e con l’emergenza sanitaria».
Ius Scholae, fine vita, dl Zan. Per il Pd sembrerebbero ancora battaglie identitarie.
«Bene,
ci mancherebbe. Ma non è quello che rappresenta la storia della
sinistra. La difesa sindacale, la protezione delle classi più deboli, la
politica del lavoro comandato, la difesa dei salari, del potere
d’acquisto, delle donne e dei giovani. Quella è sinistra».
Fratoianni (che ora fa le bizze con Letta) e Conte giurano di parlare proprio a loro.
«Fratoianni
è politicamente inesistente e dunque potrebbe anche essere Carlo Marx.
Quello di Conte è il tentativo postumo di rappresentare una linea di
protesta razionale che in qualche modo esisteva a cavallo delle elezioni
del 2018 e sulla quale il Pd avrebbe dovuto provare a costruire un
orizzonte condiviso».
Troppo tardi?
«Letta ci ha provato, ma i Cinque
Stelle sono deflagrati. Con Conte e Di Maio che cercano di tenere
assieme un po’ di cocci da una parte e dall’altra».
Letta e Calenda inseguono l’agenda Draghi, qualunque cosa voglia dire.
«Fanno
bene. L’unica cosa che può dare credibilità a questa intesa, vedremo
quanto larga, è dire esattamente: noi siamo i fedelissimi di Draghi,
ovvero del Migliore della Galassia. Continueremo sulla sua linea
realizzando tutti gli impegni europei. Evitino discorsi su riforme
(sempre annunciate e mai fatte) e sulla rappresentanza dei più deboli».
Europeismo, atlantismo, centrismo?
«Il resto sono chiacchiere. E consiglio loro di essere molto, molto credibili».
La stabilità dei poteri costituiti contro il rischio melonian-orbanian-putinan-populista-nazionalista?
«Sì.
L’idea iniziale di Letta era giusta. Aggiungo una spolveratina di
sinistra alleandomi con i Cinque Stelle. Ma ora, dopo il patto con
Calenda e Di Maio, se l’Alleanza parlasse di riforme istituzionali e di
difesa dei più deboli rischierebbe solo di sembrare ridicola e di
portare acqua al mulino di Meloni».
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