Meloni, il fisco e la credibilità

VERONICA DE ROMANIS

«Non si fanno promesse che non si possono mantenere», così Giorgia Meloni ai suoi alleati. Una richiesta di assoluto buon senso, al limite del banale. Eppure, necessaria. Di proposte impossibili ne abbiamo viste tante. La più emblematica è stata senza dubbio Quota 100, voluta e ideata da Matteo Salvini. Il leader della Lega aveva assicurato che per ogni anziano in uscita tre giovani sarebbero stati assunti. Non è andata così: lo abbiamo capito (tardi) quando sono stati richiamati nel bel mezzo della pandemia i medici andati in pensione e quando il conto da pagare era arrivato a oltre 23 miliardi. Per non ripetere un simile fallimento basterebbe seguire l’indicazione della fondatrice di Fratelli d’Italia: solo proposte credibili. Quindi corredate da informazioni relative ai costi, le risorse, gli impatti. Nulla di nuovo, in realtà. Si tratta di replicare il metodo del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che prevede calcoli (molto) dettagliati su ogni progetto di spesa. Semplice.

Eppure, le forze in campo stanno andando nella direzione opposta. La campagna elettorale è iniziata da poco, i programmi non sono ancora definiti, ma già fioccano proposte discutibili sia in termini di efficacia sia in termini di finanziamenti. Vediamone alcune partendo da quella più recente e, senza alcun dubbio, più eccentrica: spese dentistiche gratis per tutti gli anziani. L’idea è di Silvio Berlusconi, presidente di Forza Italia. Non sono ancora disponibili i dati relativi ai costi e alle coperture. Bisognerà, quindi, aspettare. Ciò che, però, si può valutare sin da ora è l’impatto complessivo. Una simile misura andrebbe a penalizzare fortemente i giovani, che sono la categoria che ha sofferto maggiormente durante la crisi. Sarebbero loro a dover pagare il conto che si preannuncia salato visto che non sono previsti tetti di spesa. Mancano, infatti, gli incentivi a risparmiare: un film già visto con il bonus 110 per cento. I giovani, peraltro, disporrebbero di un’offerta di cure sempre più ristretta. È facile immaginare che la precedenza verrà data agli anziani visto che per loro paga lo Stato (ossia tutti noi) in modo illimitato. Risultato: gli anziani starebbero un po’ meglio, i giovani molto peggio. E questo ciò che si vuole? Un secondo esempio di promessa “difficile da mantenere” è quella della pace fiscale annunciata da Matteo Salvini. Con questo strumento si intende recuperare una parte delle imposte ancora non pagate da chi si trova in una situazione di difficoltà. La procedura (come definire una “situazione di difficoltà”) non è chiara, l’obiettivo sì: combattere l’evasione. Il rischio che, tuttavia, si raggiunga il risultato contrario è concreto. Chi oggi rispetta in modo puntuale gli appuntamenti con il Fisco disporrà di un ulteriore incentivo a non farlo in futuro. Attendere la prossima pace fiscale diventerà, infatti, più conveniente. E, così, l’impatto finale sarà quello di una riduzione – e non di un incremento – delle entrate complessive. Proposte che sortiscono effetti opposti da quelli annunciati non arrivano unicamente dalle fila del centrodestra. La scorsa settimana il leader del Partito democratico, Enrico Letta, ha ripresentato la sua vecchia idea della dote di diecimila euro da destinare a tutti i diciottenni. In questo caso, le coperture sono definite: più tasse (manco a dirlo) sui patrimoni dei milionari. Stabilire chi è un milionario (sono inclusi i proprietari di casa?) non sarà facile. Lo sforzo secondo Letta va, comunque, compiuto perché l’obiettivo è nobile, di solidarietà generazionale: dare maggiori opportunità ai ragazzi e alle ragazze.

Che i giovani italiani ne abbiano poche è fuori d’ogni dubbio. Ciò che lascia (molto) perplessi è lo strumento scelto. Gli studi in materia, unitamente all’esperienze degli altri Paesi, dimostrano che difficilmente nuove opportunità potranno derivare da un sussidio una tantum. Anche perché le disuguaglianze prendono forma ben prima del compimento della maggiore età. Assumiamo il caso di un giovane cresciuto in un territorio in cui l’offerta di servizi per l’infanzia (leggi nidi) è limitata e la qualità dell’istruzione pubblica inadeguata. Con ogni probabilità, egli potrà sfruttare la dote assegnatagli in modo assai meno efficiente di quello di un suo coetaneo che, ad esempio, ha potuto seguire un percorso scolastico di eccellenza. Il risultato ultimo è quello di avvantaggiare chi è già fortunato, a cominciare dai figli delle famiglie benestanti. Le diseguaglianze aumentano invece di diminuire. Se si vuole dare un futuro ai giovani, bisogna iniziare a creare infrastrutture e servizi omogenei. Non è accettabile che al Sud l’offerta dei nidi non raggiunga l’8 per cento e che il tasso di abbandono scolastico sia ben superiore a quello nazionale (rispettivamente 19 e 13,1 per cento), che a sua volta continua ad attestarsi sopra la media europea (10,2 per cento). Un sussidio che, peraltro, verrebbe distribuito tardi quando le differenze tra i ragazzi sono già evidenti, non serve a cambiare questa situazione. I circa quattro miliardi necessari per finanziare la dote voluta da Letta potrebbero essere impiegati in un modo migliore, investendo nella qualità dell’istruzione e nelle carriere (merito al posto dell’anzianità) di chi lavora nelle scuole.

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