Il piano segreto di Landini: il partito dei populisti rossi

Laura Cesaretti

Un po’ Lula, un po’ Mélenchon. Alla testa di un nuovo partito della sinistra populista, messo insieme a tavolino utilizzando sigle e personaggi in cerca di autore (dai 5S di Conte a Leu al Prc), ma senza assumersi i rischi della leadership in prima persona: il suo sogno è fare il burattinaio, muovendo le piazze contro il governo Draghi e il parlamento, perché «il popolo non si sente più rappresentato, e infatti non va a votare per gli attuali partiti», che ormai «rispondono alle multinazionali e a altri interessi».

Il piano potrebbe ricordare vagamente Trump o il generale Pappalardo, ma invece il protagonista è il capo del principale sindacato italiano: Maurizio Landini. Che per discuterne ha convocato per domani un summit di leader e dirigenti del centrosinistra, con lui a capotavola. Ci saranno Enrico Letta, Carlo Calenda, Roberto Speranza, Giuseppe Conte, Ettore Rosato per Iv e ancora Fratoianni, Elly Schlein, Acerbo (Rifondazione, che a quanto pare ancora esiste). Sul tavolo, la legge di bilancio «alternativa» made in Cgil per lanciare l’attacco a Draghi e costruire l’autunno caldo che dovrebbe far maturare il nuovo partito melenchonian-lulista. Parole d’ordine: recupero integrale dell’inflazione sui salari, defiscalizzazione, decontribuzione, riduzione dell’orario a parità di salario, pensione a 62 anni per tutti. I contenuti della sfida politica li ha spiegati il 18 giugno scorso dal palco della manifestazione di Piazza San Giovanni: «Vogliamo che prima di scrivere la legge finanziaria Draghi ne discuta con noi: dobbiamo capovolgere il percorso. Costruiamola noi e sosteniamola nelle piazze. I partiti non possono far finta di niente: se il 50% non va a votare vuol dire che non si sente rappresentato da nessuno». Della rappresentanza di chi non va a votare si sente evidentemente investito lui: «E non ci fermeremo fino a quando il Parlamento non accetta di mediare con noi, e non tra loro». Governo e parlamento, in pratica, devono scrivere la prossima manovra sotto dettatura della Cgil, e sotto la pressione della «piazza» evocata da Landini. In una clamorosa inversione dei rapporti vigenti in democrazia tra rappresentanza politica e parti sociali. Non a caso persino in Cgil qualche critico si spinge a parlare di «ipotesi eversiva di stampo populista».

Ma su questa piattaforma, e usando la forza di pressione del sindacato (di cui a dicembre sarà rieletto segretario) come massa di manovra, Landini pensa non solo di mettere spalle al muro il governo, ma anche di far nascere un rassemblement tra sigle della sinistra e quel che resta di M5s, pronto a scendere in campo nel 2023: i suoi rapporti con Conte (che cerca disperatamente un’ancora che lo tenga a galla), Leu e compagni sono intensi, e Bersani si è già spinto a prevedere che «in autunno ci sarà una novità politica». E a sostenere che dalla crisi dei 5S, grazie a Conte, sta emergendo «una sinistra di nuovo conio».

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