La guerra e l’Unione Europea frenata dalle debolezze renane

Il paradosso è che, per la prima volta nella storia, i maggiorenti dell’euroburocrazia — Ursula von der Leyen, Roberta Metsola, Josep Borrell, Charles Michel — sono parsi migliori dei rappresentanti eletti dei Paesi dell’asse franco-tedesco di cui si è detto. Migliori per prontezza di reazione e capacità di giudizio. Per tutto il resto, ammainate le bandiere che davano un senso politico e ideologico al supporto continentale della resistenza ucraina, i Paesi europei hanno, forse consapevolmente, rinunciato a darsi un ben nitido profilo unitario.

Invece proprio questo dovrebbe essere il momento in cui all’Europa spetterebbe trovare il modo di offrire una rappresentazione di sé che renda ben visibili i passi compiuti in direzione della propria unità (se li ha davvero compiuti). Un’unità granitica, definita, ben identificabile. Qualche giorno fa il «Financial Times» ha pubblicato un commento di Janan Ganesh nel quale il columnist britannico sosteneva che l’attuale tendenza degli eventi internazionali sospinge l’Occidente non già — come molti temono — in direzione di uomini forti o peggio di tirannie, bensì verso anarchia e ingovernabilità. Vale per la Gran Bretagna. Vale per l’Europa. Vale anche per l’Italia. E non è detto che tale esito possa essere considerato alla stregua di uno scampato pericolo.

CORRIERE.IT

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