Le sfide dell’Occidente, il rilancio europeo

di Ernesto Galli della Loggia

È vero: tra le principali conseguenze l’aggressione russa all’Ucraina ha avuto quella di rafforzare l’unità d’intenti e di azione tra i Paesi della Nato e dell’Unione europea, l’unità di quello che si chiama Occidente. Oggi l’Occidente appare assai più coeso politicamente di quanto fosse sei mesi fa. Non solo, ma proprio grazie all’aggressione di Mosca esso ha avuto modo di confermare il suo forte e vitale legame storico con Paesi come l’Australia, la Nuova Zelanda, il Giappone, la Corea del Sud, che da tempo — spesso da sempre — ne condividono i valori di fondo, le prospettive e le strategie negli affari del mondo.

L’Occidente dunque oggi è unito. Ma non bisogna illudersi: è anche solo. Ne è la prova più evidente il fatto che la maggioranza degli Stati del pianeta — e tra questi vi sono Paesi come la Cina, l’India, il Brasile, gli Emirati arabi, l’Egitto, praticamente tutta l’Africa – non ha aderito alle sanzioni contro la Russia.

Certo, Mosca soffre dell’esclusione dai circuiti bancari e dalle esportazioni di tecnologia euro-americani ma nel medio periodo o forse anche prima non le sarà difficile porvi rimedio trovando altrove e in un’altra maniera ciò che non può più avere da noi. Ma non si tratta solo dell’economia: nel mondo l’Occidente è soprattutto solo culturalmente e ideologicamente. Quando Putin — come ha fatto due giorni fa — proclama che «è finita l’era del dominio americano, l’epoca del mondo unipolare è terminata» e aggiunge che non hanno più corso «gli stereotipi imposti da un solo centro decisionale», sia pure a suo modo coglie precisamente questo punto essenziale. Il mondo nuovo che sta affermandosi nelle contrade del pianeta lontane e diverse dalle nostre, i suoi valori, i suoi regimi politici, i suoi modi d’essere, si discostano sempre di più da quelli dell’Occidente.

Se è vero come è vero che la Modernità nella sua versione tecnologica costituisce sempre più la matrice autentica e pressoché unica della cultura dei tempi nuovi, ebbene allora la presenza dominatrice e potenzialmente egemone della Cina in veste di portabandiera di una tale Modernità, segna davvero un decisivo passaggio d’epoca. Al di fuori dell’Occidente, infatti, è tale Modernità made in China, è la sua spregiudicatezza manipolatrice, la sua totale indifferenza rispetto ai valori, quella che appare dettare il codice del futuro. Quella che appare plasmare l’orizzonte sociale e politico sul quale ambiscono muoversi i gruppi dirigenti, i governi, le élite, dei tanti Paesi del mondo che vengono da una storia diversa dalla nostra. A indicare loro la strada, insomma, non è più la Modernità degli Stati Uniti e insieme la nostra, ancora in qualche modo legata ai valori del costituzionalismo liberale, all’idea dei diritti della persona umana, a uno ormai sbiadito ma pur sempre tenace retaggio cristiano-umanistico.

È questa perdita di egemonia sulle vicende del mondo la sfida — si può ben dire di carattere epocale — che oggi più che mai deve affrontare l’Occidente. Ma in suo nome soprattutto l’Europa. L’Europa, benché alleata indefettibile degli Stati Uniti ha però una sua identità diversa, nutrita di una maggiore profondità storica, più variegata e duttile, priva nel complesso del corrusco volto imperiale e talora imperialistico di quelli. Un’identità che se essa volesse le permetterebbe senz’altro di svolgere specialmente in Medio Oriente e in Africa — divenuta una comoda terra di conquista per gli appetiti di ogni genere di Pechino — un’efficace opera di contrasto anticinese e antirussa. Le consentirebbe senz’altro di esercitare su vasta scala un’influenza economica, una penetrazione culturale, di svolgere una politica di scambi di persone e di istituzioni scientifiche, capaci di rappresentare un solido punto di riferimento (anche sul piano militare, sì militare: guai a fare le anime belle su questo argomento) per le élite di quei Paesi. In tutti questi modi cercando di far penetrare in esse anche i valori politici dell’Occidente.

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