Il dossier Falcone sulla mafia. Quella denuncia inascoltata

Giovanni Falcone definisce poi Pippo Calò non il «cassiere di Cosa nostra» ma «il cassiere di se stesso». «Pippo Calò – racconta il magistrato – era importante a Roma per se stesso per i suoi importantissimi contatti con la delinquenza locale, la banda della Magliana in particolare». E cita anche il corto, ovvero Totò Riina. «Quando si parlava di un traffico di stupefacenti che doveva interessare la Sicilia, mi dissero che non si muove foglia senza che il corto non dia il suo benestare».

Ricorda, il magistrato, anche i suoi inizi. Le difficoltà, le sfide, gli scontri che lo avrebbero atteso. «Quando sono entrato in magistratura, il procuratore dell’epoca – il povero Scaglione – mi diceva: ma io non ho problemi se una indagine la voglio accelerare, la affido a quel magistrato. Se voglio che le indagini siano fatte in una certa maniera particolarmente incisiva la affido a quel sostituto». «Ieri ho avuto una lunga discussione, quasi uno scontro con i colleghi di Milano che si lamentavano perché a Palermo non si potevano fare pedinamenti, non si potevano scoprire cose. Dicevo: c’è una piccolissima differenza. A Milano voi fate i pedinamenti. Qui si muore per queste cose. Qui in certe zone gli ufficiali di polizia giudiziaria entrano per pedinare e poi si accorgono di essere pedinati».

Le pause, il respiro, ancora un tiro di sigaretta. E poi di nuovo: «Ho finito di parlare giorni addietro con Contorno e dice che la situazione è terribile e lui ha notizie attuali ad oggi, perché vi è soprattutto adesso una cooptazione di personaggi che nel passato mai e poi mai sarebbero stati inseriti in Cosa nostra perché ritenuti o troppo sanguinari o troppo folli o di principi non troppo ortodossi». Notizie di prima mano che, secondo il magistrato, la mafia aveva costantemente. «Non c’è un omicidio sbagliato, finora, in seno a Cosa nostra – disse quasi in tono profetico -. Quando si uccise Dalla Chiesa tutti dissero: è stato fatto un errore storico. Poi hanno ucciso Chinnici e Cassarà e di nuovo tutti hanno detto che fu un altro errore storico. E continuiamo a fare errori storici. Hanno sempre indovinato, il momento opportuno, il momento giusto. Hanno colpito al momento giusto. E questo dimostra, a parte la ferocia, una assoluta conoscenza di notizie di prima mano». Un messaggio che, riletto dopo trent’anni, suona davvero come una profezia.

IL GIORNALE


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