Ucraina: i negazionisti e le scuse che non arriveranno

di Beppe Severgnini

Il massacro di Bucha è opera degli invasori russi. Nessuna messa in scena, come sostenevano cinici e complottisti, attivissimi sui social. Un filmato trovato in una telecamera di sicurezza, pubblicato dal New York Times, toglie gli ultimi dubbi: un gruppo di uomini in fila viene condotto al macello. Non un’operazione bellica, ma un crimine di guerra.

Non che i dubbi fossero molti, peraltro. Le testimonianze degli inviati delle grandi testate, tra cui i nostri Lorenzo Cremonesi e Giusi Fasano a Bucha e Marta Serafini nel Sud del Paese, erano concordi. Le immagini satellitari — durante e dopo l’occupazione russa — dicevano la stressa cosa. Anche logica e buon senso spingevano in quella direzione. Com’è pensabile che gli ucraini potessero inscenare quello spettacolo macabro — trasportare cadaveri e disporli lungo le strada — senza che qualcuno vedesse, sapesse, denunciasse?

Secondo voi arriveranno pentimenti e scuse, da parte di coloro che hanno negato il massacro di Bucha? Se lo è chiesto ieri Massimo Gramellini, ce lo chiediamo anche noi oggi. La risposta, purtroppo, è facile: niente pentimenti, nessuna scusa. L’onestà intellettuale dei negazionisti è inversamente proporzionale alla loro sfacciataggine. Davanti all’evidenza non si arrendono. Fanno finta di niente.

Sia chiaro: il dubbio, quando è ragionevole, è utile. Sfida il potere. E la pigrizia mentale, spesso più potente del potere. I dubbiosi dovrebbero però ammettere che, talvolta, la versione più accreditata è anche la più corretta. Ma non lo fanno. Questo squalifica il loro dubbio iniziale. Non contestavano in nome della ricerca della verità — cosa nobilissima. Contestavano mossi da delusioni, frustrazioni, ansia di protagonismo, partigianeria spudorata. Social e programmi televisivi sono pieni di questi personaggi. Imperdonabili. E, infatti, non li perdoneremo. Speriamo solo di dimenticarli in fretta, com’è accaduto dopo la pandemia.

La guerra rende vulnerabili, ansiosi, rabbiosi, permalosi. Le reazioni sono spesso eccessive. Tutto questo va messo in conto, e deve spingere alla cautela e alla comprensione. Quello che non si può comprendere, né accettare, è il rifiuto provocatorio dell’evidenza.

Qualche esempio? Quando si è capito che le forze armate russe prendevano di mira gli ospedali, c’è chi ha parlato di «inevitabili errori». Fin quando il conto delle strutture sanitarie colpite è salito a una cifra tra 160 a 200: l’intenzione delle forze di occupazione è evidente.

Un altro esempio? Un video, verificato dal Washington Post, mostra cadaveri di civili uccisi per le strade di Mariupol . Ancora: il sospetto che l’attacco al reparto di maternità dell’ospedale della città fosse una messa in scena, e una delle superstiti fosse un’attrice (!), è circolato a lungo sui social media europei. La Reuters, pazientemente, ha spiegato com’è nata questa bufala. Secondo voi, chi la diffondeva s’è ricreduto? Forse. Di certo, non s’è scusato per aver coltivato un sospetto grottesco e infamante.

Molte grandi redazioni — tra cui Bbc, Cnn, Nbc— hanno raccontato come verificano e geolocalizzano i video che circolano in rete.

Il New York Times ha spiegato, nei dettagli, come opera. Dozzine di giornalisti sono sul campo in Ucraina, protetti da forze private di sicurezza. Una squadra di specialisti esamina le immagini dei satelliti, le fotografie, i video e le trasmissioni radio per confermare in maniera indipendente i movimenti delle truppe e ogni altra informazione. Un altro gruppo controlla e autentica i contenuti apparsi sui social media, corroborandoli con testimonianze oculari e interviste.

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