Gas, dipendenza dalla Russia: i veri errori dell’Italia

di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

Dal 24 febbraio 2022 con l’invasione della Russia in Ucraina, rimbalza l’accusa: «L’Italia è troppo dipendente dal gas di Putin, negli ultimi 50 anni le forniture non sono state abbastanza diversificate». Vediamo.

I sette contratti con Mosca

Siamo alla fine degli anni ’60. Il mercato chiede gas e in Russia ce n’è tanto e a buon mercato. L’accordo, il primo del genere al mondo, è del 10 dicembre 1969 firmato a Roma dal presidente dell’Eni Eugenio Cefis e dal viceministro del commercio estero dell’Urss Nikolay Osipov (qui il documento). Durata 20 anni, fornitura di gas naturale per 6 miliardi di metri cubi l’anno. I vantaggi sono due: è a buon mercato e in più l’Eni fornisce mezzi e tecnologia. Il primo gasdotto è operativo da maggio 1974: un’infrastruttura lunga 4.450 km che parte dalla Siberia, passa per l’Ucraina, la Slovacchia, l’Austria e approda all’impianto di Tarvisio. Da allora in poi i contratti sono altri sei con un aumento costante di volumi; l’ultimo è stato firmato nel 2006 con durata fino al 2035. La clausola prevede una quantità minima e una massima che l’Italia si impegna ogni anno a ritirare. La fornitura nel 2021 è stata di oltre 28 miliardi di metri cubi.

Il gasdotto dal Mare del Nord

Negli stessi anni si tratta con l’Olanda, e successivamente con la Norvegia, per importare gas dai giacimenti del Mare del Nord. Il primo gasdotto che attraversa la Germania e la Svizzera arriva a Passo Gries, dove si trova il punto di interconnessione con la rete nazionale (qui e qui i documenti), entra in esercizio nel 1974. Per far fronte alla crescente domanda italiana il gasdotto viene ampliato nel ’94 e raddoppiato nel 1997. Nell’ultimo decennio però dal grande giacimento di Groningen, per ragioni sismiche, si pompa sempre meno, e oggi in Italia da quei tubi arriva solo il gas norvegese.

Da Algeria e Libia

Ad agosto del 1983 inizia l’importazione dall’Algeria attraverso il Transmed che approda in Sicilia, a Mazara del Vallo (qui il documento). Una seconda linea viene aperta nel 1997, raddoppiando la capacità di trasporto: 24 miliardi di metri cubi l’anno (qui il documento). A ottobre 2004 Silvio Berlusconi e Mu’ammar Gheddafi inaugurano il GreenStream, la linea sottomarina che collega la Libia all’Italia con sbocco a Gela (qui il documento).

Tredici anni per il Tap

A dicembre 2007 Italia e Azerbaijan firmano un memorandum di intesa per possibili forniture future di gas (qui il documento). Il 28 giugno 2013 il consorzio azero Shah Deniz annuncia che il Tap è il progetto prescelto per trasportare il suo gas in Ue attraverso la Puglia. Il metanodotto (sul quale partiti e comitati si sono scannati per anni) vede la luce il 31 dicembre 2020, quando il primo gas dal Mar Caspio arriva a Melendugno.
Tirando le fila: in 50 anni ci siamo portati in casa 5 fornitori diversi. Certo dalla Russia abbiamo importato via via sempre di più perché di gas ce n’è di più, e perché rispetto ai Paesi africani era più stabile e affidabile. Dove invece non siamo stati lungimiranti?

Niente gas liquefatto

L’Eni estrae gas in Nigeria, dove dal 2000 viene liquefatto e portato con le navi metaniere negli Stati Uniti, in Asia e in Spagna. Il colosso italiano ha giacimenti e impianti di liquefazione anche in Egitto, ma dal 2005 il gas lo porta in Spagna. In Italia non arriva nulla perché non si sa dove metterlo. Fino al 2009 c’è un solo rigassificatore (Panigaglia in provincia di La Spezia), quando a Porto Viro, al largo del delta del Po, apre il secondo. Il terzo, sul mare di Livorno, entra in funzione a ottobre 2013. L’utilizzo della loro capacità è sempre stato sotto il 60%. Nel 2021 sonò stati importati 9,7 miliardi di m3 principalmente da Qatar, Algeria e Usa. A partire dal 2005 sono stati presentati da società italiane ed estere una dozzina di progetti: tutti bloccati. Quelli di Porto Empedocle (qui il documento) e Gioia Tauro (qui il documento) sono in ballo rispettivamente da 18 anni e 17 anni.

Produzione nazionale bloccata

Dalla metà degli anni ’90 abbiamo iniziato a bloccare l’attività di estrazione e ricerca in Adriatico, e la produzione nazionale è passata dai 20,6 miliardi di metri cubi nel 1994 ai 4,4 del 2020 (mentre i consumi sono saliti di quasi il 30%).

Del resto fino a pochi mesi fa il ragionamento diffuso era questo: perché impattare sull’ambiente quando il gas lo importiamo da Nord e da Sud? Tra l’altro in quegli anni si iniziava ad investire sulle rinnovabili per produrre elettricità, e l’Italia era partita bene. E qui si pone il terzo problema.

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