Governo, la tela di Draghi

ALESSANDRO BARBERA

DALL’INVIATO A SORRENTO. Nel discorso di Mario Draghi fra i limoni di Villa Zagara c’è un passaggio che punta dritto ai partiti della maggioranza: «Dobbiamo procedere rapidamente con l’agenda delle riforme concordata con l’Europa» per «non perdere accesso ai finanziamenti». L’accordo sulla delega fiscale con Lega e Forza Italia e le successive concessioni ai Cinque Stelle sul bonus da duecento euro di giugno (concesso anche ai percettori di reddito di cittadinanza) non sono bastati a spegnere le tensioni. I partiti speravano in un incontro a cui Draghi si sta elegantemente sottraendo. Ma nel giro di pochi giorni dovrà trovare un accordo per far procedere la più importante delle riforme, ovvero quella sulla concorrenza, il cui iter è inchiodato al Senato. Fra le tante, la faccenda più complicata resta l’articolo con cui regolamentare la fase transitoria delle gare per le concessioni balneari. Una sentenza del Consiglio di Stato ha stabilito che dal primo gennaio 2024 ci dovrà essere piena concorrenza. La Lega, pressata a destra da Giorgia Meloni, vorrebbe per l’ennesima volta lo stralcio. Draghi su questo non può permettersi di fallire: a Bruxelles c’è aperta una procedura di infrazione decennale e senza un messaggio chiaro il governo rischia di perdere la prossima rata del Recovery Plan da venti miliardi di euro. I segnali di fumo lanciati dal Quirinale verso Palazzo Chigi invitano il premier – in nome della stabilità politica e della situazione internazionale – a trovare i compromessi necessari coi partiti. Ma in questo caso c’è una linea rossa che non potrà essere valicata. Con i tassi in crescita e l’inflazione galoppante i fondi del Recovery sono l’alternativa agli aumenti di spesa in deficit. Allo stesso tempo quei fondi sono la colla che tiene insieme la maggioranza. Starà al premier tessere la tela evitando di strapparla. Nelle intenzioni di Mattarella, il governo dovrebbe durare fino a maggio 2023, ovvero l’ultimo giorno utile previsto dalla Costituzione.

La preoccupazione del Quirinale per la stabilità del governo è legata al timore di un conflitto lungo, ma soprattutto di una altrettanto lunga crisi economica. A Palazzo Chigi ieri sottolineavano la coincidenza del contatto fra il Pentagono e la Difesa russa e la visita del premier a Washington. «Le parti non si parlavano da settimane», dice una fonte dello staff. La buona nuova ha anche un risvolto di politica interna: da giorni il premier è martellato dalla voglia di pacifismo di tutti i partiti. Fin qui Draghi ha potuto contare sul pieno sostegno del Quirinale. Più volte Sergio Mattarella ha sottolineato la «brutalità» dell’aggressione russa e marcato la differenza verso i distinguo, soprattutto di Giuseppe Conte e Matteo Salvini. Ancora ieri in casa Cinque Stelle c’era chi tentava di trovare un modo per ottenere un voto sull’informativa che – sarà giovedì – Draghi farà alla Camera e al Senato. Ma il presidente della Camera Roberto Fico – anche lui ieri a Sorrento – non ha ceduto. Il terzo decreto ministeriale con cui la Farnesina (Luigi Di Maio) e la Difesa (Lorenzo Guerini) danno il via libera alla forniture di armi per Kiev è stato firmato ieri. Il sostegno giuridico è un decreto legge votato sia alla Camera che al Senato dopo l’attacco russo. «Dunque di che stiamo parlando?», commenta una fonte di governo che chiede di non essere citata.

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