Brunetta: “Il voto in autunno, roba da Italietta. Un chiarimento? Sì ma solo tra i 5S”

Marco Zatterin

Renato Brunetta risponde con una domanda: «E se la smettessimo di farci del male?» Ci arriva ragionando sugli argomenti di un Carlo Cottarelli persuaso che sia meglio votare in autunno perché il governo Draghi ha esaurito la missione. Pensiero intrigante, da un lato, ma il ministro per la Pubblica amministrazione non trova altro se non dissentire. «Non conviene – assicura-: votare in autunno aprirebbe uno scenario distopico”
Davvero?
«Fermo restando che la decisione di sciogliere le Camere è affidata dalla Costituzione al presidente della Repubblica, l’approccio di chi considera più opportuna una crisi di governo è superficiale, inattuale e inconferente rispetto alla gravità del contesto internazionale e alla responsabilità che la premiership di Draghi ha assunto per l’Europa, prima ancora che per l’Italia. Ragionare di voto nel pieno di una crisi geopolitica e di una guerra che ci riporta al tempo del conflitto tra democrazie e regimi, mi pare un po’ immaturo».
Immaturo?
«Lo è soprattutto se questo ragionamento arriva da chi a gennaio, prima dell’elezione del capo dello Stato, sosteneva la necessità che il governo andasse avanti fino al 2023. Ma, anche a voler guardare le cose dal fortino autoreferenziale di un Paese e di una classe dirigente che spesso non vanno oltre il proprio naso, una presunta convenienza elettorale sarebbe frutto di un giudizio impolitico. Sarebbe la terza crisi in quattro anni e farebbe ripiombare l’Italia nell’instabilità.
Qual è lo scenario distopico?
«Bisogna immaginare concretamente cosa vorrebbe dire togliere dal campo il “fattore Draghi”: per l’Italia significherebbe perdere la faccia, smarrire la credibilità e la reputazione che il premier e il suo governo, di cui mi onoro di far parte, hanno riconquistato sullo scacchiere internazionale e sui mercati. Vorrebbe dire non ottenere la rata di 20-25 miliardi del Pnrr di dicembre 2022, e non è vero che il problema si ripresenterebbe per il primo semestre 2023, perché – come ci ricorda proprio l’Osservatorio dei Conti pubblici diretto da Cottarelli – il totale delle milestone e dei target previsti per l’Italia da gennaio a giugno del 2023 è significativamente più basso (circa 60 adempimenti) di quello dei quattro semestri precedenti (una media di oltre 80), non a caso. Far cadere il governo implicherebbe restare privi di voce in Europa durante una delicata fase costituente».
Un draghista convinto, lei.
«La leadership di Draghi in politica estera è sotto gli occhi di tutti: da un lato, ha saputo saldare l’asse con Macron per costruire una nuova Unione europea che sia più forte e più sovrana, in particolare sul fronte dell’energia e della sicurezza; dall’altro lato, con la visita a Washington, rilanciando sull’esigenza di un negoziato che porti alla pace, ha dimostrato a Biden di essere un partner autorevole, oltre che affidabile, e non schiacciato sulle posizioni americane. Oggi Draghi è il miglior interprete dei valori euro-atlantici e il miglior garante degli interessi europei, e dunque italiani. Farne a meno, in un momento in cui si sta ridefinendo il paradigma degli assetti geopolitici globali, sarebbe un’azione di masochismo, l’innesco di un nuovo ciclo di instabilità. Torneremmo all’Italietta inaffidabile d’un tempo».
Conte intanto sfidato il premier. Auspica un chiarimento perché dice che il governo non ha mandato politico.
«Conte ha perfettamente ragione, solo che sbaglia sede. Serve un chiarimento sulla guerra non in Parlamento rispetto alle scelte del governo, ma all’interno del M5S, visto il caos che il Movimento esprime in politica estera. A parte il bravo Di Maio».
Cottarelli argomenta che l’esecutivo ha esaurito i suoi compiti di traghettatore.
«L’attuale governo non è nato, nelle intenzioni del presidente Mattarella, come un esecutivo di scopo o a termine, né Draghi ha chiesto a questo titolo la fiducia del Parlamento. La missione riformista dell’esecutivo è un autentico processo trasformativo. Non comprendo i giudizi al ribasso sui compromessi raggiunti dal governo. Chi li formula ha forse la certezza che dopo le elezioni il Parlamento avrebbe la forza di esprimere maggioranze coese e compatte?»
Lei che dice?
«Non mi pare che l’attuale quadro politico, ancora in piena evoluzione, offra garanzie di governabilità. Una crisi di governo in estate aprirebbe una finestra di soli tre mesi, da luglio a settembre, per formare programmi e alleanze e per adeguare al censimento 2021 della popolazione i nuovi collegi elettorali, ridisegnati in base al taglio dei parlamentari. Dopo il referendum sulla riduzione dei seggi, c’è una questione, del tutto ignorata, che riguarda gli equilibri istituzionali e la stessa legge elettorale».
Ignorata?
«È un punto delicatissimo e di imprescindibile attualità. Varrebbe la pena di spendere questi mesi per tentare di trovare un accordo su una legge elettorale proporzionale con sbarramento, proprio per le stesse ragioni di governabilità addotte dai fautori del voto a ottobre. Il nostro bipolarismo “bastardo” è fonte di opportunismi e instabilità. Se è vero che maggioranze raccogliticce non sono in grado di esprimere coesione, è molto più democratico andare al voto nella chiarezza delle posizioni distinte di ciascun partito».

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.