Alpini: quel richiamo della foresta Caporetto della ragione

Gabriele Romagnoli

I raduni nazionali degli alpini hanno una particolarità che ha del miracoloso: per tre giorni a centinaia di migliaia invadono una città e la mattina dopo la loro partenza tutto è intonso come se nulla fosse successo. Peccato per quella macchia che resta ogni volta e che a Rimini si è allargata più che in passato. Riguarda i comportamenti nei confronti delle donne. Nessuna violenza da codice penale, ma una diffusa mancanza di rispetto. Da parte di una minoranza? Certo. Ma è la minoranza di un corpo onorato, che non dovrebbe ammettere comportamenti nocivi alla sua giusta fama. Basterebbe un po’ di disciplina, e non siamo certo noi a potergliela insegnare. Basterebbe l’autoregolamentazione, più sorveglianza, qualche sanzione. È così che funzionano la vita civile e quella militare. O no?

Quel che si sostiene sia accaduto a Rimini impone due ordini di valutazioni: sui fatti in sé e sulle reazioni che ha suscitato.

I fatti. Difficile che siano fantasie, per molti motivi. Uno è che sono già accaduti in altre circostanze, quasi una tradizione negativa. La sosta dovuta alla pandemia e l’aria del mare possono aver generato una rincorsa alla cattiva condotta. Si può anche mettere in dubbio una testimonianza, ma quando ce ne sono decine bisognerebbe credere a una psicosi semi-collettiva. Semi perché colpirebbe solo la parte femminile della popolazione. Un fenomeno. Ci sono mondi, di stretta osservanza musulmana, in cui per confutare la parola di un uomo occorre quella di quattro donne. In questo caso ce ne sono anche di più e non è certo ai valori della sharia, la legge sacra islamica, che si ispirano i patrioti con la penna nera sul cappello. Qui siamo in occidente, in un paese libero, dove “uno vale uno”. Dove le donne hanno pari diritti e dignità e chi le corteggia non deve oltrepassare una certa linea di comportamento. Non esistono “ragazzate”, men che meno per chi ragazzo non è più da molto tempo. Ci sono Paesi in cui per atti del genere si rischia il carcere. Non sono Paesi arabi, ma gli Stati Uniti d’America. Esagerano? La cultura del “me too” ha guastato i giochi? Gioco è quando ci si diverte da almeno due parti. Tutto è ammissibile se concordato, niente lo è in caso contrario. Dovremmo essere ancora in grado di discernere: un’espressione rozza non è un complimento, una manata non è un gesto affettuoso, il nonnismo non è gerarchia.

Poi possiamo distinguere la categoria dal genere. Il detonatore non è mettere insieme quattrocentomila alpini (e molti più litri d’alcol) ma quattrocentomila (o anche molti di meno) maschi (perfino a secco). Possono essere tifosi di calcio, studenti in gita scolastica, professionisti a congresso, è molto probabile che una minoranza compia atti impropri. La logica del branco prevale su quella dell’ordine. Questi raduni poi sono un richiamo della foresta, l’occasione per ritrovare chi c’era quando si era giovani e tutto era possibile. Tutto, tranne questo tipo di condotta. Tanto meno in questo momento storico, dove l’eco non solo della guerra, ma anche della violenza di genere, arriva dal mar d’Azov all’Adriatico.

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