Conte-Draghi, crescono le tensioni nel governo

ILARIO LOMBARDO

C’è un punto sul quale Mario Draghi ha pressocché l’assoluta certezza che il governo potrebbe davvero collassare. Riguarda la collocazione internazionale dell’Italia. Se, nel gioco delle alleanze, i partiti dovessero mettere in dubbio i legami atlantici, il presidente del Consiglio si sfilerebbe un secondo dopo. Draghi sa di poter contare sull’aiuto e sulla totale copertura del Quirinale, tanto più ora che la guerra impone chiarezza, mettendo a nudo convinzioni e timidezze di parte. In realtà i pericoli avvertiti da Draghi sono due. L’altro è la legge sulla concorrenza, cuore pulsante del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ostacolato dai veti del Centrodestra. Ma meno insidioso, ai suoi occhi, perché meno esposto all’emotività dell’opinione pubblica di fronte all’invasione russa e alla resistenza ucraina. Non è difficile arrivare a questa conclusione, cercando un contesto da dare alla sfida a due su cui si sta avvitando il rapporto tra Draghi e il presidente del M5S Giuseppe Conte, che a Palazzo Chigi considerano «un leader in declino».

Sullo sfondo della guerra in Ucraina e del dibattito sulle armi si svela il sottotesto di un rapporto che non è mai stato facile. Frutto delle scorie lasciate dall’avvicendamento tra i due al governo e poi dalla frattura che si è consumata durante i dieci feroci giorni delle elezioni del presidente della Repubblica, posto a cui ambiva Draghi. Eventi che si intrecciano ad altri, più sommersi, dove si agitano tesi sull’intelligence e dove tante volte è stato tirato in ballo, dai partiti, un diretto o indiretto coinvolgimento dei funzionari responsabili della sicurezza dell’Italia. Tenere presente i rapporti Usa-Italia, in vista della visita di Draghi alla Casa Bianca, martedì 10 maggio, aiuta a gettare una luce sulle difficoltà percepite da Conte. Nel M5S questo è un tema molto presente. Il canale aperto da deputati del Movimento con l’ambasciata americana di Roma conferma le preoccupazioni. Da qualche settimana si sta valutando anche di organizzare un viaggio dell’ex premier negli Stati Uniti, e di favorire incontri con esponenti del partito democratico. Un modo per rimettere le relazioni sui binari della reciproca fiducia, incrinata dopo il caso degli aiuti russi durante la pandemia e della disponibilità mostrata dal governo italiano nell’estate del 2019, quando atterrò a Roma il procuratore generale William Barr, inviato da Donald Trump per indagare su un presunto complotto dei democratici ai suoi danni.

Sono precedenti che Draghi ha in mente quando, di fronte all’enormità di un conflitto che ha alienato la Russia dall’Occidente, dice di avvertire un pericolo, per la tradizionale collocazione atlantica dell’Italia, se la battaglia politica sugli aiuti e sulle spese militari dovesse esasperarsi. Per questo vive anche come una provocazione che Conte lo stia insistentemente invitando ad andare alle Camere prima della visita a Washington dal presidente democratico Joe Biden, e che glielo stia chiedendo con una certa malizia quando dice che sarebbe «deluso» se dopo due mesi e mezzo di guerra non lo facesse perché i tempi sono stretti: «Il Parlamento può riunirsi anche di domenica. È successo con il mio governo, durante la pandemia». Palazzo Chigi ha fatto sapere che il premier andrà alle Camere dopo il viaggio, e già il 19 maggio, durante il Question time, potrebbe riferire sulla guerra. Il M5S però minaccia di non accontentarsi. Durante la riunione dei capigruppo, Davide Crippa è stato l’unico a chiedere che il premier parlasse all’Aula nel formato delle comunicazioni, su cui poi i partiti possono presentare risoluzioni da votare. Questo vuole Conte: un voto che vincoli la linea dell’esecutivo sulla guerra alla volontà del Parlamento. Solo attraverso questa «dialettica politica», sostiene l’avvocato, un «governo di unità nazionale» può avere «una giustificazione» ed evitare che si «creino condizioni critiche».

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