Offerta di pace, Zelensky apre alla possibilità di un accordo “nei confini del 23 febbraio”

Francesca Sforza

Il clima ricorda molto le giornate prima dell’invasione del 24 febbraio, con le voci delle Intelligence occidentali che si inseguivano a colpi di certezze e smentite sul possibile attacco russo. Sappiamo come è andata. Ieri, la data del 24 febbraio è tornata a risuonare in un intervento del presidente ucraino Zelensky, che durante un video messaggio al think tank britannico Chatham House ha detto di essere disposto ad accettare un accordo di pace con la Russia a condizione che le forze di Mosca si ritirino «sulle posizioni del 23 febbraio». Di nuovo, il governo ucraino ha ripetuto che la questione della Crimea e delle due repubbliche separatiste del Donbass va trattata a parte, in colloqui tra i due presidenti: «Oggi l’obiettivo è porre fine alla guerra, il presidente dell’Ucraina è pronto a sedersi e a parlare», ha detto il capo dell’ufficio di presidenza Andriy Yermak ieri in un’intervista.

Sullo sfondo, un’altra data, quella del 9 maggio, che secondo fonti di intelligence, potrebbe segnare un cambio di passo da parte russa, con la dichiarazione di una “mobilitazione generale” (non più dunque un’“operazione speciale”), che avrebbe ricadute pesantissime sul conflitto. In quel caso, infatti, lo Stato russo entrerebbe ufficialmente in una situazione di guerra, con la possibilità di mobilitare le aziende che lavorano nella difesa per produrre più armi, le fabbriche di automobili che passano alla produzione di carri armati, quelle del settore tessile al rifornimento di uniformi. I cittadini in età di leva sarebbero chiamati a combattere o a soddisfare le esigenze delle retrovie, in fabbriche e cantieri.

Uno scenario pessimo, che forse la dirigenza ucraina sta cercando di scongiurare proprio rilanciando sull’importanza dei negoziati. Ma se le condizioni sono quelle dettate da Zelensky è altamente improbabile che Mosca dia la sua disponibilità. Proprio ieri, infatti, il segretario del Consiglio Generale di Russia Unita Andrey Turchak ha detto che non ci sarà «alcun ritorno al passato» per la Russia nella regione di Kherson: «Voglio dirlo chiaramente: la Russia è qui per sempre, su questo non dovrebbero esserci dubbi. Non ci sarà alcun ritorno al passato, vivremo insieme, svilupperemo questa regione ricca, ricca di patrimonio storico, ricca della gente che ci vive», ha detto nel corso di una comunicazione ufficiale al partito. E ha aggiunto, a scanso equivoci, che a Kherson «la vita pacifica sta per essere ripristinata».

L’allarme su una possibile estensione formale della guerra da parte della Russia circola con insistenza da giorni, e il primo ministro ucraino Shymgal ha detto che la notizia è accreditata dai servizi stranieri. Il portavoce del Cremlino Peskov ha seccamente smentito l’esistenza di simili piani, ma lo aveva fatto anche il 23 febbraio scorso, e sappiamo come è andata.

Il completo stallo diplomatico di questo periodo è stato in realtà segnato da alcuni negoziati tra le parti condotti, per parte russa, dall’ex ministro della cultura Vladimir Medinsky, uomo di peso in questo momento. L’ultimo round c’è stato il 22 aprile scorso, e se si è registrata una certa consonanza su temi come lo stato neutrale dell’Ucraina, la denuclearizzazione, le garanzia di sicurezza da parte di Paesi terzi e persino il rispetto reciproco delle culture (che implica per esempio che a un certo numero di scuole di lingua russa in Ucraina corrisponda un eguale numero di scuole di lingua ucraina in Russia), si sono continuate a misurare incompatibilità sulla questione dei confini postbellici. La posizione di Kiev è quella ribadita ieri dal presidente Zelensky, ovvero che le truppe russe dovrebbero ritirarsi da tutti i territori occupati durante la guerra, ma Mosca intende invece mantenere la maggior parte dei territori occupati, e di stabilire il pieno controllo sulle regioni meridionali dell’Ucraina per toglierle l’accesso al mare.

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