I russi accusano il colpo: danni pesanti dalle sanzioni

Rodolfo Parietti

Pare che Vladimir Putin non si fidi ormai più neppure della propria ombra, eppure lei è ancora lì, seduta sulla poltrona di governatrice della Banca di Russia. Sopravvissuta allo sfaldamento del cerchio magico putiniano, stigmate da intoccabile, Elvira Nabiullina conserva la licenza di dire. E, soprattutto, di contraddire il suo capo. C’è così un effetto stridente, tipo gessetto sulla lavagna, fra le parole di ieri con cui il leader del Cremlino ha bollato come «fallito» il blitzkrieg economico dell’Occidente, convinto com’è che quelli «che hanno imposto le sanzioni stanno soffrendo», e il quadro drammatico presentato dalla banchiera centrale, con sinistri accenni di un ritorno coatto al modello economico sovietico.

È una regressione che deve apparire terrificante agli occhi di una donna dalle forte venature liberiste, costretta invece ora a far fronte ai «cambiamenti strutturali» dell’economia russa imposti dalle misure di ritorsione. Dopo il primo round, quando a essere colpito è stato il sistema finanziario, adesso Nabiullina prospetta un impatto ancor più duro sul vivere quotidiano. Dice, tranchant: «Il periodo in cui l’economia può vivere grazie alle scorte è limitato». Gas e petrolio, insomma, non sono un salvavita. Il tesoretto si assottiglia giorno dopo giorno, e ciò imporrà scelte dolorose che finiranno per ricadere su famiglie e imprese. Il futuro prossimo venturo porta con sé «restrizioni alle importazioni e alla logistica del commercio estero e limitazioni alle esportazioni». In concreto: un abbassamento del tenore di vita, peraltro già in precario equilibrio (il reddito medio pro capite è di poco superiore ai 10mila dollari l’anno), e per le imprese un adattamento obbligato alla nuova realtà. «I produttori russi – spiega la governatrice – dovranno cercare nuovi partner, logistica o passare alla produzione di prodotti delle generazioni precedenti. E tutto questo richiederà tempo».

Tempo durante il quale la Russia dovrà affrontare una recessione severa (tra il 10 e il 15% di contrazione del Pil quest’anno), aggravata da un’inflazione che già in marzo è schizzata al 17%, ad anni luce dal target del 4 per cento. Inoltre, la fragilità del sistema economico indotta dalle sanzioni è tale da costringere la Banca di Russia a una scelta controcorrente rispetto agli altri istituti di emissione: lasciar correre il carovita. «Non proveremo ad abbassarlo a ogni costo, poiché questo limiterebbe l’adattamento dell’economia». Anzi, l’idea è quella di agire sui tassi, abbassandoli. Una mossa non solo pericolosa perché andrà a minare ancor di più il potere d’acquisto dei russi, ma che appare come un ulteriore segno di resa. All’inizio del conflitto la Nabiullina aveva in un sol colpo raddoppiato il costo del denaro, alzando al 20%, nel tentativo di limitare la picchiata del rublo. Ai primi accenni di stabilizzazione del sistema finanziario, i tassi erano poi stati tagliati al 17% senza che la valuta ne soffrisse anche grazie all’obbligo imposto alle imprese di convertire in rubli le valute straniere incassate facendo affari oltre confine e per l’assenza di sanzioni sull’energia.

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