Sulla Via Crucis comprendo gli ucraini ma sbagliano: il Papa fa il Papa, non benedice eserciti

di  Paolo Griseri

È certamente giustificabile l’irritazione del signor Andrii Yurash, ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, per la decisione vaticana di far portare la croce al Colosseo a una donna ucraina e una russa insieme. Nessuno può giudicare il punto di vista di chi viene aggredito senza ragione e si trova i carri armati nel cortile di casa. E non siamo noi, con l’unica esperienza del telecomando e delle guerre combattute dal divano, a poter alzare il ditino contro il povero Yurash. La polemica è invece un’occasione per riflettere sul rapporto tra religione e scelte politiche. Perché non mancano da noi i convertiti dell’ultimo mese, gente che, a destra e a sinistra, tenta di utilizzare Papa Francesco come megafono del piccolo cabotaggio politico.

La posizione dell’ambasciatore è giustificabile ma sbagliata. Abituato alla cultura del mondo ortodosso dove, nei fatti, le chiese sono chiese nazionali (come chiunque può constatare anche nelle nostre città) perché da secoli è venuto meno il ruolo di guida del patriarca di Costantinopoli, non è facile accettare lo scandalo di quella Croce portata da una donna russa e una ucraina. Soprattutto quando il patriarca di Mosca, Kirill, il dialogante Kirill quando era il braccio destro di Alessio II, si trasforma in un agit prop di Putin con motivazioni omofobe. Che cosa doveva fare il Papa? Tornare all’epoca dei cappellani militari, quelli che benedicevano eserciti tra loro contrapposti in nome dello stesso dio? Lo scandalo della Croce è, per chi ci crede, lo scandalo di un dio che, a differenza di altre religioni, non è un dio degli eserciti. È lo scandalo di un dio che si fa uccidere dagli uomini.

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