Caso Raztinger, l’arcivescovo Zuppi: “Ha accettato il giudizio umano, la sua lettera è una svolta epocale”

Domenico Agasso

BOLOGNA. «Il cuore del mea culpa di Ratzinger è nella condivisione del suo esame di coscienza davanti a Dio e agli uomini su un tema attuale e di rilievo. Benedetto XVI non intende riferirsi “solo” al giudizio di Dio, come per fuggire dalle responsabilità nei confronti dell’umanità dei tempi e luoghi del suo governo ecclesiale». Il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, definisce «bella e intensa» la lettera diffusa dal Papa emerito in risposta al rapporto sugli abusi sessuali commessi nell’arcidiocesi di Monaco. È un testo «nobile, spirituale, umano ed indica una risposta ai problemi che ci sono: esorta la Chiesa a combattere contro il peccato chiamandolo per nome».

Però nella galassia cattolica c’è chi ritiene che sia una manifestazione troppo personale per un pontefice: lei che cosa ne pensa?
«Io credo il contrario: la forza di aprirsi e di raccontare le riflessioni compiute da uomo e da credente rappresentano la sincerità e l’autenticità della “grandissima colpa”, facendo sue le responsabilità della Chiesa. Benedetto chiede perdono per le inadempienze mostrando dolore e profonda vergogna, dando una lezione di umiltà e responsabilità e prova di coraggio».

In che senso?
«Affidarsi “solo” al giudizio di Dio può diventare un modo per sfuggire al riconoscimento di sbagli di fronte agli altri uomini e donne. Joseph Ratzinger invece ha armonizzato le due direzioni verso cui si è rivolto: la responsabilità nei confronti dell’umanità nei tempi e luoghi in cui ha avuto incarichi di guida all’interno della Chiesa, e il rapporto con Dio. Si è espresso in una dimensione da grande uomo e credente, lanciando un messaggio di umanità e di fede».

Lei pensa che sarà compreso?
«È la preoccupazione che ho. Spero che sia capito nella sua altezza, universalità, mentre oggi è molto più facile pensare che l’unico criterio che conta è quello soggettivo. È l’individualismo diffuso nelle nostre società, dove esiste soltanto l’io. In Ratzinger invece coesiste la spinta a mettersi di fronte agli uomini e abbandonarsi con fiducia al giudizio finale di Cristo. Certo, riconosce che “nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere motivo di spavento e paura”, ma dice anche di sentirsi “con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato”. Questo passaggio è da leggere e rileggere».

Quali sono le differenze da altri celebri mea culpa papali?
«Questo affronta una piaga aperta e sanguinante, mentre altri si riferivano a malefatte compiute da uomini di Chiesa in tempi precedenti e anche lontani. Ovviamente ciò non significa dare un ordine di importanza. Ratzinger dice: “Ho avuto grandi responsabilità nella Chiesa. Tanto più grande è il mio dolore per gli abusi e gli errori che si sono verificati durante il tempo del mio mandato nei rispettivi luoghi”. Qui c’è un coinvolgimento personale che aiuta tutti quanti a non sfuggire dai propri doveri ancora presenti».

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