Quirinale, sul tavolo restano le carte Casini e Draghi. Gli sms di Casellati ai leader del centrodestra: «Votatemi»

di Francesco Verderami

Il vertice di centrodestra terminato a notte fonda anticipa un’altra fumata nera oggi. Ma il passaggio della quinta votazione avrà un valore politico, sarà la prova chiesta dalla Meloni per tenere salda l’alleanza prima di arrivare a quella che si prospetta come la chiama decisiva: quella di domani. La leader di Fdi ha chiesto di contarsi in modo da verificare i numeri della coalizione, e il capo della Lega ha accettato la richiesta. Sarà l’ultimo giro di giostra, l’ennesima contorsione di una corsa al Colle che finora è parsa una sciarada.

Ieri Salvini aveva passato la giornata nel disperato tentativo di sfuggire alla forza di gravità, facendo suo lo slogan di Conte, secondo il quale bisognava «trovare rapidamente un nome per evitare il nome di Draghi». Così nel pomeriggio — dopo una performance da dimenticare per il centrodestra alla quarta votazione — il segretario del Carroccio aveva rilanciato su Frattini, figura condivisa giorni fa con il leader del Movimento. Già allora era stato sommerso da una valanga di no. Compreso quello dell’Ambasciata americana, che era sobbalzata al nome dell’ex ministro degli Esteri considerato un «filo russo». Al secondo tentativo, si è beccato anche il veto della sua coalizione e sottovoce persino quello dei suoi compagni di partito.

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Era stata l’ennesima mossa per resistere alla forza di gravità e all’insistenza della Meloni, perché l’operazione per Salvini resta rischiosa. Più che per i rapporti con il centrosinistra, per lo stato di disgregazione che emerge nel centrodestra, dove i franchi tiratori sono pronti a colpirlo insieme al candidato. Se così stanno le cose, non si capisce come mai per tutto il giorno la Casellati abbia inondato i cellulari di (quasi) tutti i maggiorenti della coalizione con lo stesso, stringato messaggio: «Mi dovete votare». E la sua richiesta è stata esaudita.

In effetti è complicato guidare una trattativa, se oltre alle difficoltà di trattare con gli avversari bisogna gestire le ambizioni degli alleati. Ma un kingmaker non può limitarsi a sostituire una terna di nomi con un’altra nel giro di pochi giorni, senza fare i conti con il principio di realtà. E Salvini ieri ha dovuto constatare la debolezza della linea Maginot costruita assieme a Conte per evitare l’ascesa di Draghi al Colle. È a questo che Di Maio si è riferito quando ha contesta il modo in cui si è giocato con «figure di spessore» come la responsabile del Dis Belloni, finita nel tritacarne dei candidati anche con la complicità di una parte dei democratici. Perché pure nel Pd fino a ieri mattina si era smarrito il senso delle istituzioni, inserendo nella lista dei quirinabili il capo dei Servizi segreti.

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