Due passi avanti e uno indietro

MARCELLO SORGI

Draghi due passi avanti e uno indietro. È questo l’esito della giornata di ieri, svolta su due piani. Nell’aula e nel parcheggio della Camera (in questo secondo caso per elettori positivi al virus), la prima votazione conclusa con una valanga di schede bianche. Alle spalle di Montecitorio, nei palazzi della cittadella politica, in una serie di incontri che hanno dato un’accelerata alla ricerca di una soluzione per il Quirinale. Il più importante dei quali, tra Draghi e Salvini, ha dato la sensazione, ridimensionata in serata, che la candidatura del premier sia in cammino. Sensazione riflessa anche dagli incontri di Salvini con Letta e poi con Conte, accompagnati da dichiarazioni e comunicati positivi e dalle promesse di riprendere velocemente il negoziato per portarlo a uno sbocco. Il problema irrisolto è che se davvero Draghi fosse eletto tra due giorni, alla quarta votazione, Presidente della Repubblica, ci sarebbe subito da formare un nuovo governo. Ed è questo il secondo argomento che sarebbe stato affrontato ieri, con Draghi disposto per la prima volta a discuterne con Salvini e i leader della sua maggioranza.

Ma indisponibile a entrare nei dettagli della composizione dell’esecutivo, né come premier uscente e men che meno come futuro Capo dello Stato. Affrontare la crisi avendo la soluzione in tasca ed evitando una vacatio che il Paese non può permettersi, nell’attuale situazione di emergenza sanitaria e con il quadro internazionale che a causa dell’Ucraina va complicandosi di ora in ora, sarebbe certamente quel che ci vuole. Ma Draghi ha spiegato che al momento è materia che non lo riguarda. E questo ha spinto Salvini, in serata, ad annunciare che proporrà una nuova rosa di candidature del centrodestra.

Secondo Renzi, che ha seguito la trattativa, pur non essendo coinvolto in prima linea, Draghi è solo uno dei candidati. Potrebbe farcela a condizione che per sostenerlo si realizzi un accordo politico, che Salvini sia capace di costruirlo insieme con tutti i partiti della maggioranza e che quella del premier non sia l’unica soluzione sul tappeto. Draghi insomma dovrebbe accostarsi alla trattativa sapendo che lo sbocco finale potrebbe riguardarlo, ma anche no. E dopo aver riaperto i canali di comunicazione con i partiti della maggioranza, il premier dovrebbe abbandonare le sue resistenze. Smettere in sostanza di sentirsi un tecnico e trasformarsi in politico. Ma è esattamente questo che il presidente del Consiglio non vuole.

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