Il gran ballo del Transatlantico

Fa il suo ingresso in sedia a rotelle Umberto Bossi, ha voluto esserci – pochette e cravatta verde, dono di Bonaiuti, lo scomparso portavoce di Berlusconi – «Draghi è un nome che può uscire alla fine», mormora tra un saluto e l’altro, i leghisti in processione a cominciare da Giancarlo Giorgetti – «c’è un giovane cronista che vuole farle una domanda» – ma anche Pier Luigi Bersani, due decani del Parlamento all’ennesimo giro di valzer del Quirinale. Accanto a una finestra conversano il sottosegretario del Carroccio Nicola Molteni e la compagna di partito Barbara Saltamartini. Lui pare sia il nome indicato da Salvini per ricoprire l’incarico di ministro dell’Interno in un futuro nuovo governo: «Non se ne parla nemmeno, ve lo garantisco», sbotta il collega dem Enrico Borghi nel capannello affianco, rigorosamente Pd, ché sembra di tornare finalmente a scuola dopo anni di Dad e fatalmente ti metti vicino di banco agli amici di sempre. Alla buvette Roberto Calderoli sorseggia uno spritz – «ma lo fanno più buono al Senato» -, glissa sul voto («finiamo giovedì? L’unica cosa che so è che giovedì gnocchi») piuttosto dà consigli di cinema: «Ho visto Ariaferma, bellissimo». Parla di carceri, ha provato a farlo vedere a Salvini? «Per ora l’ho fatto vedere a mio figlio». Sono al centro dell’attenzione, i leghisti, sanno che il boccino è in mano al loro leader, che ieri è stata la sua giornata. Sanno poco o fingono di non sapere, ma si godono il palcoscenico nella parte da protagonisti. «Io so che se devo votare Draghi piuttosto mi taglio il braccio», non usa giri di parole Claudio Borghi, uno dei capofila delle critiche al governo su Green Pass e politiche antipandemia. «Voterei Draghi? Bisognerebbe capire cosa pensa di fare con il governo se eleggiamo un altro…», si lascia sfuggire Luca Zaia.

Arriva Liliana Segre, che qualcuno avrebbe voluto presidente e che gentilmente ha subito declinato: «Avendo provato a essere la reietta, la condannata senza colpa, la vita è così straordinaria che poi ti porta da vecchia a diventare senatrice a vita e votare per il capo dello Stato», commenta emozionata. Arriva uno dei quirinabili, Pierferdinando Casini, tra i primi a votare perché la rigida scansione di chiame prevede per primi i senatori, accorrono i commessi a tenerlo al riparo dalla curiosità dei giornalisti – «per favore un profilo basso», sussurra lui, consapevole che quanto meno si fa notare e più si gioca la sua partita.

Sembra il Transatlantico di sempre ma comunque in era 2.0, perché è tutto un selfie lì dove peraltro le regole del Palazzo non lo consentirebbero: Mastella e la moglie amorevolmente abbracciati, la deputata renziana Lucia Annibali nel cortile interno occupato da un grande gazebo pensato come appendice coperta del Transatlantico. Un gruppo di parlamentari di Italia Viva si esibiscono in grandi sorrisi per una foto insieme a Renzi lì a due passi dall’Aula, mentre lui si compiace delle domande dei giornalisti – «noi non contiamo nulla, non chiedete a noi» – e dà vita a una scenetta con il fedelissimo Francesco Bonifazi, «ti sei vestito tutto di marrone, oggi la Boschi chiedeva se stai andando a caccia», poi toglie la spilletta di Forza Italia a un collega berlusconiano e la mette sul bavero dell’amico: «Ho letto sui giornali che hai risposto a una chiamata di Berlusconi e neanche me lo avevi detto». Per ora è solo scheda bianca, qualcuno nemmeno vota, come Maurizio Gasparri: due giorni fa è mancato un collega, il deputato Fasano, per lui un caro amico, «approfitto per andare a Salerno alla camera ardente».

Arriva sera, nessuna sorpresa all’orizzonte, la litania prevista di «bianca» nella lettura delle schede. La prima giornata scivola via, resta una notte di contatti e trattative. Di luci accese in altri uffici, in altri palazzi. Oggi il gran ballo ricomincia.

LA STAMPA

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